La solidarietà dev’essere legge

La solidarietà e le donazioni sono incoraggiate dalle varie associazioni. Chi mette l’euro per devolvere a questa o a quella causa o dà la moneta al mendicante, a sua volta, si sente più buono (quando poi magari non conosce nemmeno le abitudini della moglie o del marito…). Io la penso diversamente: la solidarietà, per come ci viene proposta, è il fallimento della nostra società e dello Stato. Che senso ha dare la moneta al mendicante se poi, il giorno dopo, il problema rimarrà lo stesso? Mendicante Che senso ha rifornire di viveri i paesi dell’Africa se anche loro, il giorno dopo, avranno sempre lo stesso problema? Che senso ha devolvere una quota di fatto simbolica a un’associazione per quel tumore se poi, all’indomani, mancheranno sempre fondi di finanziamento che dovranno sempre essere chiesti come donazione alle persone? Insomma, la solidarietà, per com’è concepita comunemente, è un mero aggirare il problema e un mettersi a posto la coscienza da parte di tutti: il cittadino che ha una vita misera e, impiegando l’euro tramite messaggio da cellulare, si illude di essere buono nei confronti del prossimo e il politico che, pensando ai propri interessi e non al bene del popolo, se ne lava le mani perché tanto ci sono le associazioni e i volontari. La domanda è:

se la solidarietà è un valore così positivo, perché non metterla a legge?

Perché ciò che è giusto non dovrebbe essere messo a legge affinché un diritto sia rispettato da chiunque? Il voto alle donne non è forse messo a legge? Le tasse (giuste o sbagliate che siano nella forma attuale – per inciso, io le trovo sbagliate perché non combattono i plutomani alla Berlusconi) non sono forse giuste e quindi messe a legge? La solidarietà messa a legge, in questo modo, diventerebbe un valore sociale che coinvolge tutti quanti e che può fare molto meglio rispetto a come funziona ora perché ognuno di noi, in base al reddito, dovrebbe impiegare una determinata quota (maggiore per chi guadagna tanto) per aiutare chi sta male e i deboli. Una società che vive nell’anarchia e non considera il bene del collettivo, una società alla “homo homini lupus”, è una società arretrata, che non ha futuro. In alcuni paesi poveri, paradossalmente, si ha più senso di questo concetto perché chi ha tanto (cibo) si sente in dovere di condividere con chi non ha perché, magari, un giorno potrebbe essere lui a non avere niente. In occidente, la solidarietà deve quindi avere lo stesso scopo, dando a chi non ha ciò di cui ha bisogno per raggiungere uno standard minimo (poi è compito della persona) per vivere dignitosamente. E lo Stato non deve fregarsene, ma essere garante dei risultati ottenuti. Senza questa garanzia, cade tutto il discorso. Questo vuol dire che un politico, fra i suoi temi di programma, deve considerare la solidarietà come legge. Altrimenti, non è un buon politico e, almeno da parte mia, non avrà mai il mio voto. Nei paesi più progrediti, la solidarietà è legge e viene definita con un benefit. Ci sono benefit di diverso genere: disoccupazione, disabilità (e non si intende solo non avere una gamba, ma anche problematiche più complesse di stampo psicologico), per i figli, per reddito insufficiente e via dicendo. Avere una società dove si dà a tutti il diritto di raggiungere il benessere sociale vuol dire avere una società migliore e questo è un ritorno per il collettivo stesso e lo Stato (meno senzatetto, meno gente che spaccia o si suicida perché non ha lavoro, malati con cure migliori).

Il principio di solidarietà sociale è concreto e razionale e, fra le altre cose, fa capire perché la flat tax è un modello sbagliato.

Bontà o apparenza di bontà?

Per molti sembra un grande gesto di bontà e solidarietà dare l’euro per SMS per questa o quella campagna. Vediamo un club di calcio che devolve 50-100 mila euro per la causa dei terremotati e applaudiamo. Ma riflettete. 1 euro per SMS sono tutto sommato un’inezia, così come 50-100 mila euro lo sono per una società di calcio. 50-100 mila euro sono briciole per chi ha perso la casa per un terremoto. Lo sfamerai per un attimo e il problema continuerà ad esserci! Perché non ci battiamo, invece, affinché sia lo Stato a occuparsi in prima persona, con dei veri sforzi e concreti, per risolvere o prevenire i problemi dei più deboli e degli sfortunati? Accettiamo che i Briatore di turno irridano alla povertà e decantino di essersi creati i paradisi fiscali senza che nessuno faccia un controllino. Il nostro Stato incassa 500 mld di euro di tasse e tributi vari (vedi “Sì al reddito di benessere universale!“). Non sarebbe meglio battersi in modo più drastico per risolvere tutti questi problemi? 1 euro dato a un senzatetto non cambia la vita, ma ci dà solo l’illusione di essere più buoni: un’apparenza di bontà, dove il bene del povero senzatetto non viene fatto. Non buttatela lì dicendo che tanto il senzatetto non vuole lavorare. Può anche darsi che sia finito barbone per questo motivo, ma questo è un alibi semplicistico che vorrebbe metterci a posto la coscienza sul fatto che ce ne restiamo con le braccia in mano. E magari siamo noi stessi i primi a non aver voglia di lavorare, solo che noi lo stipendio riusciamo a rubarlo!

È del tutto inutile far sopravvivere le persone con un pezzo di pane. È la stessa cosa che faceva madre Teresa di Calcutta, che faceva sopravvivere le persone con una ciotola di riso fino alla loro morte. Della sua figura, ho discusso con molta critica nell’articolo “Più benessere, meno religione“. Nel nostro paese, purtroppo domina la mentalità cattolica della misericordia, ma non del benessere, bensì dello sfruttamento dei miserabili. E certo, è comodo così. Se le società progredisse, come spiego nell’articolo appena linkato, non si potrebbe più convertire facilmente le persone.