Cosa si intende per prodotto locale?

La globalizzazione è un fenomeno importante degli ultimi decenni che ci ha permesso di scoprire meglio cosa c’è nel mondo, di allargare i nostri orizzonti con nuovi mezzi. Dall’altro lato, ci sono tante aziende che reclamano certificati di origine protetta, di originalità. Trattasi, spesso, di una vera e propria guerra di certificati più che di ricerca della qualità del prodotto. E questo l’ho notato soprattutto nei salumi. Basta andare a fare un giro al supermercato e notare quante bresaole DOP sono in bella presenza sui banconi. Peccato che queste bresaole contengano quasi sempre conservanti nocivi come i nitriti! E lo stesso vale per tantissimi salami localissimi calabresi e via discorrendo. A mio avviso, come nel discorso sulla stagionalità, si dovrebbe avere un punto di vista razionale ed equilibrato. Parlare di prodotti locali non vuol dire niente, se non si descrivono dei parametri. I prodotti locali sono quelli di origine del territorio? Ma allora dovremmo bandire i pomodori, che di certo non sono originari dell’Italia. Se dovessimo attenerci a questa definizione, potremmo mangiare pochissimi alimenti, perché il resto è stato importato dalle americhe o dall’Asia. Insomma, la definizione appena data non funziona. Per prodotto locale, ci si riferisce ad aziende totalmente italiane? Anche questa è una definizione che non regge. Basta prendere la pasta che mangiamo quotidianamente. Certo, la pastificazione avviene nei nostri genuini pastifici, ma è anche vero che il grano per produrre tutta la pasta che mangiamo non è sufficiente se dev’essere prodotto internamente. E, si sa, noi italiani ne mangiamo davvero tanta di pasta, me compreso che dopo un allenamento sono capace di sciropparmi anche 160 g di pasta alle vongole o con bottarga. In questo caso, non c’è che una soluzione: delegare la produzione di grano ad altre aziende estere che possano garantire la domanda richiesta, e di solito queste aziende sono americane per via del vasto territorio a loro disposizione. Ne viene fuori che, quando mangiamo la nostra buonissima pasta trafilata al bronzo, mangiamo sì una pasta prodotta da aziende italiane e in Italia, ma la materia prima proviene dall’estero e da aziende estere. Tutto questo è perfettamente normale, perché garantisce efficienza nella produzione in base a quello che la gente richiede. Non c’è assolutamente da fare allarmismi. A proposito di pasta e tanto per ribadire il concetto dell’articolo, l’usanza di cucinare la pasta secca ci è stata tramandata dagli arabi in Sicilia. Prima, si cucinava una pasta fresca, di origine romana, chiamata “lagana” e dalla forma simile alle odierne lasagne. La lagana veniva impastata con farina e lattuga, speziata e fritta. In quanti lo sapevano?

Equilibrio e paura dei prodotti stranieri

Come al solito, quello che bisogna fare è evitare l’abuso e gli eccessi. Perché il problema non è tanto il fatto che i cinesi ci soppiantino, quanto piuttosto ci dovremmo lamentare se il prodotto che arriva dalla Cina è scadente, è contraffatto (ma questo succede anche per i prodotti nazionali!) o sottoposto a sfruttamento (quindi si violano la legge e i diritti umani). Della carne che proviene dalla Francia o dall’Irlanda, non ho paura, perché so che i bovini che provengono da questi due paesi sono liberi di pascolare e mangiare in modo “naturale”. Così come non temo di certo il salmone norvegese, perché so che, anche quando è d’allevamento, il prodotto è di qualità e ricco di omega-3. Perché dovrei rinunciare a tutto questo? Con un occhio ovviamente al portafoglio e alla reale convenienza (non trovo sensato un salmone affumicato da 50 euro al kg che magari è anche povero di omega-3 rispetto a uno da 30 euro al kg), limitare la propria alimentazione ostinandosi a rincorrere l’ideale di “prodotto locale” non ha alcun senso, è fortemente penalizzante, oltre che soggetto a contraddizione quando si vuole definire che cosa dovrebbe essere il prodotto locale. L’importante è sempre fare una scelta consapevole, conoscendo realmente ciò di cui si sta parlando e si vuole mangiare. Una passata di pomodoro dalla Cina può anche essere più conveniente e di qualità rispetto a una passata nostrana, ma quello che conta è che siamo in grado di riconoscerlo oggettivamente, che siamo oggettivamente in grado di distinguere un prodotto di qualità da uno scadente o da uno mediocre. Al contrario, la passata di pomodoro dalla Cina potrà essere bandita se contiene ingredienti scadenti, come lo zucchero aggiunto (e succede) o ingiustificati esaltatori di sapidità per mascherare l’uso di pomodori di pessima qualità. È di quest’ultimo aspetto che dovremmo discutere (insieme alla convenienza), non di prodotto cinese contro prodotto italiano. Perché, come detto prima, anche noi italiani abbiamo i nostri localissimi prodotti che però fanno qualitativamente schifo: bresaola DOP della Valtellina con nitriti, salsiccia DOP della Toscana con metabisolfiti e nitrati… suvvia, non ditemi che non avete mai visto queste porcherie sui banchi del supermercato perché direste una bugia!

Sulla cucina tradizionale, tra dieta e storia