Fanatici delle lunghe distanze e novelli Rambo

È un concetto che ho espresso già altre volte nel sito. Anche nello sport, come in tanti altri ambiti della vita, in pochi hanno una visione equilibrata. Paradossalmente chi ha una visione equilibrata viene visto come quello strano, il dissidente, il poser. Quello che noto nella corsa, nello specifico, è un vero e proprio fanatismo per le lunghe distanze e per le imprese spericolate, motivo per cui mi tengo ben alla larga dai forum dedicati al running, che non sono altro se non un covo di ossessionati dove se non fai maratone o ultramaratone sei di fatto un fallito. Quasi tutti, senza distinzione, sesso ed età, iniziano a correre magari anche da un anno e subito scattano con l’obiettivo della prima mezza, della maratona, del trail running (corsa in ambiente naturale, di solito boschi e montagne), dei 100 km del Passatore. Di per sé, nulla di male nel correre un’ecomaratona (simile al trail running ma sulla distanza della maratona). Il problema sta nell’ingenuità di chi si affaccia a questo tipo di corse per sentirsi forte, per accrescere l’autostima, preso da una condizione mistica di euforia dove “tutto si può”. La cosa curiosa è che sono runner dai risultati scarsi o mediocri, ma che con lo “stimolo” del trail o dell’epicità della maratona tornano a casa con la sensazione di aver fatto qualcosa di straordinario. Io non sono così narcisista ed egocentrico. So di essere scarso. Corro per la salute e per stare bene, e non mi illudo di essere un eroe per aver terminato una mezza maratona in 2 ore, che è l’andatura di un jogger! È proprio per questo che ho parlato, tra gli articoli, della calcolatrice di Riegel. Ad esempio, prendiamo un soggetto di 30 anni che corre la 10 km in 44′. A 40 anni, inizia a tirare un po’ i remi in barca. Le sue prestazioni calano e fatica a scendere sotto i 50′. Cosa fa, allora? Inizia a pensare alla 100 km del Passatore, riesce a terminarla e si illude di essere ancora un grande. Per non dire del fatto che non è raro vedere runner che vanno discretamente sulla 10 km, mentre in maratona ottengono dei tempi penosi. Chi su una 10 km vale 47′, in base alla calcolatrice di Riegel, in teoria (la formula non è assoluta, ovviamente), dovrebbe chiudere una mezza intorno a 1h43′. Nella pratica si scopre che il tempo di un simile soggetto è ben oltre 1h50′. Cos’è successo? È successo che la distanza della mezza (21 km e poco più) non è stata un modo per mettere alla prova le proprie reali potenzialità. Probabilmente l’allenamento è anche stato scadente, perché per fare un certo tipo di tempo, anche a partire da propri potenziali, occorre una scientificità che uno può non reggere affatto. Però, vuoi mettere poter dire di aver terminato una mezza? Una volta una persona che conosco parlava di un suo amico che aveva corso la mezza di Milano in “circa” 2 ore (notare la superficialità di quel “circa”), e per lei era una incredibile impresa. Peccato che io, scarsissimo runner, corro tranquillamente un lento al passo di 6’/km. Ci sono tante persone che dimenticano il reale motivo per cui si dovrebbe fare sport: la salute. È giusto misurarsi, avere una competitività equilibrata e non nevrotica, ma questa cosa purtroppo è spesso dimenticata dai cosiddetti drogati delle grandi distanze e dalla sindrome degli aspiranti Rambo. Sono poi le stesse persone che, nei forum, spiattellano in firma il proprio scarsissimo e insignificante “personal best” sulla mezza o in maratona, “personal best” di cui al mondo intero non frega ovviamente una cippa. E allora lo vedi che è solo narcisismo? Fessibuk docet.

Non sto dicendo che non ci si debba allenare con chilometraggi cospicui, anzi, il volume resta un fattore determinante per la prestazione. Il fatto è che ci si fa prendere troppo e si dimentica il concetto di distanza critica, oltre al fatto che il volume ci vuole, ma pure la dovuta qualità! Chi diventa drogato di grandi distanze spesso non comprende questi due aspetti che devono conciliarsi. In qualche modo, si considera immortale e capace di correre praticamente all’infinito. Il troppo stroppia, come al solito. E non è solo questo. Ci sono tantissimi aspiranti maratoneti che, prima della gara di Filippide, corrono dei lunghissimi a ritmi veramente blandissimi. Per farvi capire il discorso, leggete nell’articolo sul fondo medio la parte dedicata al lunghissimo. Sono convinto che sono in pochissimi a correre correttamente un lunghissimo per la maratona!

Capite bene il senso del mio articolo. Non è sbagliato correre le lunghe distanze in modo assoluto. Sarebbe assurdo dirlo. E non è sbagliato correre la maratona più lenti del proprio potenziale teorico (vedi sulla calcolatrice di Riegel). Quello che non bisogna fare è cercare una qualche forma di assuefazione. Come spiego anche alla fine dell’articolo, dobbiamo avere la giusta mentalità per correre le lunghe distanze, riconoscendo i limiti così come il potenziale. Le lunghe distanze possono dare molte soddisfazioni, ma solo se affrontate con la giusta mentalità.

E leggete anche l’articolo sul record in maratona di Kipchoge. Il suo è un modo di correre la maratona moderno e rivoluzionario (comunque non nuovo), che ad alcuni farà cambiare il punto di vista sulle lunghe distanze. Evidentemente, anche i professionisti si sono accorti che finire la maratona è facile, fare il record no! Poi oh, lo dico francamente. I maratoneti potranno anche fare il record mondiale, potranno anche avere una bassa percentuale di massa grassa. Ma mi paiono proprio degli anoressici.

Gli infortuni

È un altro motivo per cui preferisco tenermi lontano dalle lunghe distanze. Piaccia o no, in pochi sono predisposti alle lunghe distanze e più aumenta il chilometraggio più aumentano statisticamente le probabilità di infortunio. La continuità del gesto ha un ruolo cruciale nella determinazione di un infortunio, a maggior ragione in uno sport “puro” come la corsa dove la tecnica è minima rispetto ad esempio al ciclismo o al nuoto. Infortunarmi vuol dire perdere tempo, fermare il programma, e dover ricominciare da capo. Insomma, non ne vale la pena. Nel mondo dei runner ossessionati, pare comunissimo vedere la maggior parte di loro che hanno almeno 1 infortunio all’anno. Nel peggiore dei casi si arriva anche a 3-4 all’anno! Per loro è normalissimo, rimarranno fermi per un po’, quel paio di settimane ogni volta, poi ripartiranno a correre di nuovo per 18-20 km di salite, boschi, sterrati. Non capiscono che è proprio per questo che si infortunano! Per me non è affatto normale infortunarsi in questo modo, va proprio contro la mentalità di correre e in generale di fare sport per la salute. Correre per salite e discese, su sterrati con sassi, fare ultramaratone, ecomaratone (che di “eco” hanno ben poco) ecc mette a dura prova tendini e articolazioni e accorcia la carriera sportiva. Poiché il mio obbiettivo è correre fino alla fine dei miei giorni, è chiaro che questo modo di fare sport non sia intelligente. Attenzione, non capite male. Questo non vuol dire che nessuno deve correre una 100 km nel deserto, ma che ha senso farlo solo a patto di:

1) essere predisposti geneticamente;
2) conoscere le reali capacità del proprio corpo;
3) allenarsi come si deve, seriamente.

97 volte 100, scopro che chi corre un trail o una 100 km del Passatore non rispetta neanche uno dei 3 punti detti. In questo caso, riconoscere i propri limiti significa farsi del bene. Perché a 30-35 anni è facile ignorare come le articolazioni e i tendini sono messi a dura prova con questo tipo di gare e distanze, ma a 60 anni, che è lo scopo dello sport per la salute, la vedo dura visto che la distanza critica diminuisce con l’età. Ci sono persone che non riescono a correre per più di 14 km di seguito senza avere problemi. E sono persone che non possono essere trascurate. Per metà delle persone, anche la mezza maratona è controindicata! Se siete ancora giovani, d’accordo, magari vi salvate, ma poi sono cavoli amari. Quindi perché dovrei essere così stupido da rischiare? E infatti, ci sono tante persone che sulla 10 km vanno pure molto bene, ma che in maratona passeggiano proprio perché geneticamente non sono portate. La gente non vuole capire che in pochi riescono geneticamente a correre una maratona. Correre per 4 volte a settimana permette già di essere in salute (e infatti moltissime persone non ci arrivano pur allenandosi tutti i giorni!), ma è sciocco ammazzarsi di chilometri illudendosi di essere invincibili. Che senso ha? Ditemelo voi, perché incaponirsi al costo (salato, in tutti i sensi!) di un infortunio? Sinceramente, a volte fatico a capire se sia più stupidità o ottusità. Sì, sì, lo so, ci sarà sempre chi dice che basta stare attenti, basta usare la testa, basta capire come si fa. È tutto un “ma” e un “se”, però poi il rischio c’è sempre e va calcolato. Non si può dire che la corsa non sia per tutti, o almeno per quasi tutti. Dopo una certa soglia, però, solo pochi geneticamente predisposti possono spingersi oltre. Mettetevelo in testa e fatevi del bene. Leggete “Come evitare di infortunarsi” per capire meglio il discorso. E c’è chi vuole correre 100 km a settimana come i professionisti, i quali non a caso sono spesso rotti. Solo che loro sono pagati! Va bene, se siete geneticamente portati, correte pure anche ultramaratone da 200 km. Buon per voi, non ho detto che nessun amatore può correre le lunghe distanze. Ma se scoprite che non siete geneticamente portati, poi sono dolori e potete dare la colpa solo alla vostra incoscienza (per non dire stupidità…). La cosa peggiore è che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Ti dicono che la 42 km è una gara impagabile ed emozionante, ma poi hanno dolori per settimane causati dal sovraccarico. E vanno avanti a botte di Ibuprofene. Vi garantisco che non scherzo. Frequentando occasionalmente gli ambienti (ci trovo poco di costruttivo), ho scoperto che almeno metà di chi corre la maratona deve rinunciare perché si infortuna, magari all’indomani della gara. Oppure si infortuna in gara perché non la sa reggere. Ho addirittura trovato chi stava “collaudando il nuovo crociato”. No comment, che è meglio.

Personalmente, ho scelto di limitarmi alla mezzofondo e alla preparazione della 10 km. Non sono un vero runner per questo? Amen, non mi interessa. Io voglio conservare le mie articolazioni e correre fino alla vecchiaia. Che poi, ci sono 30enni che corrono mezze e maratone e vanno più lenti di me su una 10 km. Ma va beh, questo l’ho già spiegato prima parlando dei lunghissimi. Magari in futuro cambierò idea e correrò anche io una maratona, ma lo trovo altamente improbabile perché non ci trovo senso a scopo salutistico. Se dovessi prepararmi per la maratona, arriverei a odiare la corsa, oltre al fatto che non sono geneticamente portato per la maratona: e che senso avrebbe, allora? Non mi interessa fare “l’impresa”, ma avere un corpo che funziona ed efficiente. Bisogna sempre ricordare che, spesso, i danni cronici si sviluppano in modo lento e graduale. E quando ci accorgiamo che il danno è fatto, lo capiamo solo con l’arrivo del dolore, ma ormai è troppo tardi! Io non prenderei con superficialità la statistica sugli infortuni di Patricia Brill e Caroline Macera nel loro studio (1 infortunio ogni due anni se mi dice bene e 4 all’anno se mi dice male correndo per 4 ore a settimana). È vero che le statistiche hanno la loro interpretazione e non stabiliscono una legge assoluta (infatti, non ho mai detto che la corsa è sconsigliata!). Verosimilmente, nella statistica entrano i soggetti che corrono le lunghe distanze. Questo dovrebbe far capire che occorre avere testa e non sottovalutare il sovraccarico.

Invidia o buon senso?

Qualcuno può pensare che la mia sia invidia per chi fa 70 km di trail running, mentre io corro normalmente sull’asfalto nel mio piccolo paesino. In realtà no, le lunghe distanze e i trail per me sono come fare paracadutismo. Certo, uno può dire di stare attento, di essere preparato, di non sottovalutare nulla, ma è ovvio che il paracadutismo sia uno sport rischioso e ogni volta che ci si lancia aumenta di più quella probabilità che vada male. Poi, quella volta in cui ti capita la probabilità su 1000, ecco che ti maledici per essere stato un idiota. Perché dovrei essere invidioso di una cosa del genere? Preferisco ammirare quegli 80enni che ancora riescono a correre la 10 km in un’ora. Ammiro chi a 90 anni corre una 100 m in meno di 20”, visto ci sono tantissimi 20enni che non ci riescono. Io prendo esempio da loro e aspiro a raggiungere il loro livello. Ma gli incoscienti e gli stupidi, mi spiace, non li invidio affatto. La riprova è il fatto che non vedo nessun 70enne correre trail o ecomaratone. È facile dire “ho corso la maratona”. Sì, ma che tempo hai fatto? Se per sentirti forte hai bisogno di finire una maratona, allora perché non provi a correre la 5000 m piani in 12′ battendo il record di Bekele? Ecco, se vuoi dire di essere forte, prima batti Bekele! Preferisco essere onesto e ammettere di essere scarso su una breve 10 km, piuttosto che essere un irresponsabile nel cercare di apparire un fenomeno sulle distanze più lunghe o correndo per inerpicati sentieri. Io corro per la salute, non per accrescere l’autostima e per apparire! Per me lo sport è uno stile di vita globale, che non ha a che vedere con presunte imprese eroiche, magari per terminare una maratona con il ginocchio che va a pezzi. E proprio in questa ottica di sport, piuttosto che correre sempre di più, a mio parere è meglio dedicarsi al multisport.

Comunque sia, aumentando la distanza, aumenta anche la probabilità di infortunio. A me interessa dare il massimo, poter esprimere tutto il potenziale del mio organismo. Non mi interessa finire una maratona o una 100 km. Mi interessa di più fare un tempo da record (anche se da scamorza in termini assoluti!) sulla 10 km piuttosto che finire una maratona per “sentirmi un eroe”. Mi interessa una prestazione tarata sull’aspetto salutistico (vedi “Corri, ma che età fisica hai?“) e dare il tutto di me stesso per questo obbiettivo. Non mi va assolutamente di barare. Preferisco di gran lunga essere un runner mediocre sulla 10 km, ma capace di esprimere tutto me stesso, anziché fare maratone e ultramaratone per apparire un eroe agli occhi di chi non se ne intende, magari perché non c’è concorrenza come su distanze più brevi.

Poi boh, onestamente chi dovrei invidiare? Se parliamo di un Kipchoge, la mia è totale ammirazione. Da lui, ho solo da imparare! Se invece prendiamo molti amatori, essi corrono al confronto più lenti di un tapascione come me. Il motivo di questo è presto detto. L’amatore che punta sulla maratona non è geneticamente portato alle lunghe distanze. Pertanto, si abitua a correre di più, ma si disabitua a correre “veloce”. Ne viene fuori che, sulla 10 km, ha una prestazione scadente! Io preferisco ammettere i miei limiti e cercare di andare “veloce” (per i livelli di un amatore) sulla 10 km. Il passeggiare in maratona non mi interessa. Quanti amatori maratoneti o ultramaratoneti che si fissano su queste tipologie di distanze arrivano al termine di una 10 km tutto tirato con un fiatone che fa crollare a terra? Non importa il tempo, perché non è questo lo scopo, bensì dare il massimo. Si vede tanta gente che termina la maratona e, se finiscono crollando, è perché si sono scontrati con il “muro”, non di certo perché hanno dato il massimo! I veri maratoneti sono solo i professionisti (e c’è chi li evita a lungo arrivandoci molto gradualmente!) e solo una parte ridotta degli amatori. Accettiamolo e godiamoci la corsa senza fare i finti eroi o gli imbecilli che sono disposti a perdere il sonno o a infortunarsi pur di correre la maratona.

Amore per la natura?

Non regge nemmeno la scusa di chi dice di correre ecomaratone e trail running per amore della natura. Uno che ama la natura veramente si ferma e osserva. L’amore necessità di conoscenza e per conoscere bisogna anche osservare. Quindi, se uno passa veloce correndo, che cosa osserva? Se amo la natura, piuttosto cammino e mi fermo a osservare tutti i piccoli dettagli, come farei in una giornata di gita in montagna. Fra l’altro, il trail running, per quanto affascinante, vi predispone di più agli infortuni e una caduta può essere molto rovinosa. Per alcuni è tutto normale, fa parte del gioco ma, pur stimando Kilian Jornet per le sue eccezionali doti, non la prenderei così alla leggera. Non saranno d’accordo tutti quelli che, magari per emulazione, vengono attratti dal trail running, eppure sanno che è la verità. Troppa gente ignora o non vuole vedere i rischi del trail running, trovando normale scivolare con il sedere per aria su sassi e sentieri che possono nascondere delle insidie. A tutto questo, aggiungiamo che alcuni fanno trail running di notte con la frontale e, francamente, non li trovo degli eroi, bensì gente che spesso non si rende conto di quello a cui vanno incontro (o magari lo sanno benissimo, ma ne diventano ciechi per drogarsi di adrenalina). Dico sempre che bisogna credere nelle potenzialità del corpo umano, ma c’è modo e modo. Come direbbe Keating, assaporare il midollo della vita non significa che ti devi strozzare con l’osso! Un altro problema del trail running è il fattore cambiamento climatico. Penso ad esempio a quelli che hanno perso la vita su quel poco che è rimasto del ghiacciaio della Marmolada nel 2022. Molti parlano di tragedia, che le autorità non hanno fatto nulla, nel solito gioco allo scaricabarile per non dire la verità. Quale verità? Che, se una persona fosse responsabile e conoscesse la montagna, mai andrebbe a fare alpinismi in simili condizioni!

Il senso del rispetto

Una delle ultramaratone più dure al mondo è il Badwater Ultramarathon. 217 km nella Valle della Morte con temperature che raggiungono i 54 °C! Qual è il senso di queste imprese? Il rispetto. Quindi, non è vero che nessuno può correre le ultramaratone. Quello che però tanta gente non comprende è che bisogna essere predisposti a correre gare così rischiose ed estreme, e avere anche una mente equilibrata. Non a caso, alla Badwater Ultramarathon partecipano solo degli atleti selezionati, che vengono costantemente seguiti e rinfrescati. Ciò dimostra che l’umanità può progredire e realizzare qualcosa che sembrava impossibile (vedi anche lo sbarco sulla Luna!). Ma chi è equilibrato sa che deve rispettare la natura e non avere la pretesa di ergersi ad eroe, oltre ad essere ben allenato (con km e km nelle gambe) e geneticamente predisposto. Chi fa queste gare estreme sa che corre dei rischi e non dà per scontato che andrà tutto bene. C’è una profonda differenza tra questi atleti e chi si presenta alla maratona di New York in sovrappeso con la maglietta che dice “vai forte o vai a casa”. Nel primo caso, parliamo di persone consapevoli dei propri limiti e dei rischi, che sanno quello che fanno e hanno notevole esperienza, ma sanno anche che potrebbe andare male. È una loro responsabilità. Nel secondo caso, la scena è decisamente fantozziana…

L’ho spiegato anche nell’articolo su Kipchoge. Sono il primo a dire che non bisogna dare un eccessivo peso a chi dice (spesso i medici) che l’uomo non è fatto per questo, quello e via dicendo. Sostengo che l’uomo abbia delle eccezionali doti, di cui tante volte non è nemmeno consapevole. Tuttavia, ci vuole criterio per impegnarsi in una sfida. Accettare una sfida non vuol dire che bisogna andare allo sbando e come degli incoscienti!

Chris McCandless e i suoi emulatori sbandati
Prestazione sportiva e motivazione