Il Covid ci dice che dobbiamo seguire una vita semplice e sportiva

Domenica 8 marzo 2020 scatta la zona rossa in Lombardia e altre zone limitrofe per l’emergenza Covid. In seguito, l’intero paese è stato bloccato per lungo tempo. Il mio articolo, tuttavia, vuole parlare in modo più ampio, sfruttando l’emergenza del Covid (*) per dire cose che penso già da tempo. Non voglio snocciolare dati e riportare le misure previste, perché non è questo lo scopo. Voglio porre una riflessione su quello che sta accadendo e quello che dovremmo imparare dall’esperienza.

Ma torniamo a noi. Innanzitutto, la prima cosa che si nota è che:

le epidemie sono la normale conseguenza della sovrappopolazione.

* Il nome completo della malattia è Coronavirus Disease 2019 (COVID-19, appunto).

Dovrebbero seriamente riflettere i sostenitori delle megalopoli, dove le pandemie e le epidemie si diffonderebbero come niente. Sul pianeta, stiamo crescendo sempre di più e, nelle passate epoche storiche, una malattia (peste, vaiolo, ebola ecc) è spesso intervenuta a limitare la sovrappopolazione. Alla faccia dei politici, dei media e del Papa che si lamentano della bassa natalità! Notate la contraddizione di alcuni programmi televisivi, come Geo: avvertono sui cambiamenti climatici, ma si preoccupano che non facciamo figli. Non a caso, il contagio del COVID-19 è partito dalla Cina, dove le città sono dei formicai, e si è diffuso facilmente nella società globalizzata. Questa è la cosa che non piacerà a molta gente, e che i politici stessi tendono a non dire:

l’emergenza del COVID-19 o altre malattie simili diventerà la normalità.

Chi non crede che non sarà la normalità ricordi la pandemia dell’A/H1N1 del 2009 (detta suina perché, si sa, piace dare soprannomi razziali). Perché ce ne siamo accorti meno del Covid? Perché l’Italia fu meno colpita di altre zone del mondo, soprattutto il Nord America. Inoltre, la sua letalità era quasi nulla, ma bisogna tenere a mente che in natura a volte ti va bene e altre volte no. Nel novecento, ricordiamo la spagnola (H1N1), l’asiatica (H2N2), Hong Kong (H3N2). Ciclicamente, si ripete una pandemia. Se una volta non ci tocca (vedi l’A/H1N1), la prossima volta forse sì. La SARS di inizio anni 2000 fu, invece, un’epidemia.

Cosa fare? Non di certo andare nel panico e assaltare i supermercati per la paura dell’apocalisse! La parola che, per fortuna, inizia a circolare è resilienza. I cambiamenti climatici (comprese le migrazioni che ne derivano) ce lo stanno dicendo da un pezzo. Il Covid ce lo dice ulteriormente, essendosi diffuso non perché è pericolosissimo, bensì perché è geneticamente adatto a scardinare i nostri punti deboli: i luoghi di aggregazione. È un virus che punta sui grandi numeri, non granché sul tasso di letalità (*),  a parte alcune categorie di soggetti (i cosiddetti fragili), mandando in questo modo in tilt il sistema sanitario. Una singola emergenza è sempre destinata a scemare, ma ne potrebbero arrivare altre che richiederanno un contenimento, più o meno drastico in base al caso. È questa la realtà che ci attende, ma è proprio per questo che il panico non ha senso. Sicuramente, il Covid ci dice che intervenire per il clima si può fare subito. I politici l’hanno sempre tirata per le lunghe, hanno sempre detto che agiranno “entro il”, senza mai arrivare a nulla di fatto. Ma sono bastate poche settimane di lockdown per dimostrare che ha ragione Greta (al di là di alcune sue posizioni estremiste): si può e si deve agire subito!

* Letalità non è sinonimo di mortalità. La letalità è la percentuale di decessi tra tutti i contagiati. La mortalità sono i decessi totali (per virus, per altre malattie ecc) sul totale della popolazione.

In sostanza, dobbiamo cambiare il nostro modello di società. Politici e cittadini hanno tergiversato o girato la faccia dall’altra parte a ogni segnale, per decenni. Vengono fatte politiche ambientali risibili, preferendo sempre mantenere gli interessi economici. Anche durante l’emergenza Covid molta gente era principalmente interessata al portafoglio (vedi Forza Italia e centrodestra in generale), curandosi in modo appena sufficiente della salute. Un po’ come quando, prima della rivoluzione francese, in tempi di carestia, i poveri dovevano dare al ricco l’unica pagnotta che avevano. Lo smog e l’inquinamento fanno all’incirca 45 mila morti all’anno in Italia e ce ne siamo infischiati. Quindi, se in futuro vogliamo evitare scene di panico come di recente, i finanziamenti alla salute e alla sanità devono essere la priorità. Non intendo solo gli ospedali e il personale medico, ma anche attività come le ciclopedonali e i parchi spaziosi. Perché? Perché, ad esempio, una persona sana e sportiva ha meno probabilità di ammalarsi e un sistema immunitario più forte. E poi perché lo spazio è fondamentale per ridurre le probabilità di contagio. Non lo dico solo per il Covid (che tanto passerà o tornerà più leggero), ma in generale. Sono praticamente le stesse regole che dovremmo seguire per l’influenza.

Il difficile è convincere chi ha sempre ricavato profitto a cambiare mestiere. I politici dovranno essere eletti in questo senso, non più di pancia o per risonanza sentimentale (vedi Salvini e Trump). Insomma, il Covid non ci dice che moriremo tutti, ma che:

dobbiamo imparare a condurre una vita più semplice.

Per fortuna, qualcuno che va controcorrente condivide il mio pensiero. Si parla di approfittarne per rendere la scuola più interattiva, ad esempio. Sono nuove prospettive, nuove opportunità per migliorare, ovviamente da affiancare a quanto già esistente di buono. Penso alla Finlandia, che negli anni ’70 ha vissuto una grave crisi di analfabetismo. Seguendo la filosofia del “nessuno deve rimanere indietro” (rispetto a chi, nell’emergenza Covid, ha promosso spregevoli ideologie proprio sull’esatto contrario), il paese scandinavo ha svoltato e, ora, ha scuole da primato. Tutto sta nel voler cambiare.

Personalmente, il Covid non mi ha quasi per niente cambiato la vita. Non sono mai stato un amante della discoteca e mi piace bere una birra in tranquillità, non stretto fra centinaia di tamarri cerebrolesi. Amo correre in solitaria e non gareggio mai, perché voglio concentrarmi e sentirmi un tutt’uno con quello che faccio, senza distrazioni. Mi piace respirare la natura e lo spazio aperto, non lo smog delle grandi città o il chiuso di una palestra. Se ci sono 30 gradi o zero, non mi importa: mi adatto. Alla cucina del ristorante di lusso, preferisco una pasta ai fagioli. Potrà sembrare strano, ma il Covid è un’opportunità per poter finalmente coltivare dei valori che abbiamo trascurato.

L’importanza dello stile di vita

Forse non ci avete badato granché. Non ho parlato di sport per deformazione professionale (a parte che non lo faccio di professione). Del Coronavirus, si è detto che colpisce perlopiù le persone già compromesse o vecchie. Ma cosa vuol dire persone già compromesse? I media non dicono che non sono soltanto quelli che si ammalano di tumore all’improvviso o che soffrono di patologie genetiche, ma anche quelli che hanno contratto patologie dopo decenni di cattivo stile di vita. E i vecchi? I media non dicono che, dopo i 90 anni, la letalità del virus torna a calare rispetto alla fascia di 60-80 anni. Il perché è intuibile: se uno campa così a lungo, è geneticamente fortunato o, più probabilmente, ha saputo mantenere un corretto stile di vita. Detto in modo crudo quanto rea,e: chi è conciato troppo male non arriva a questa età! Volete difendervi meglio dai malanni? Fate sport! Il Covid non ha fatto altro se non mettere alla luce il cattivo stile di vita degli italiani, spiattellando brutalmente quant’è il suo costo economico. Osservando le persone gravi in altri paesi come la Corea del Sud, c’è una differenza troppo netta per usare la scusa dell’età. Siamo più vecchi, sì, ma con un cattivo stile di vita. Stento a credere che le persone con immunodepressione congenita o gravi patologie genetiche siano così tante (in sostanza, le persone che NON hanno colpa, a cui la mia critica non può assolutamente rivolgersi). Ciò dimostra quello che dico già da tempo: non essere malati non è equivalente ad essere sani! Se non fosse così, perché i giornali riportano quasi sempre i personaggi famosi che sono rimasti infetti anziché quelli deceduti?

C’è un’altra prova che dimostra l’importanza dello sport per la prevenzione: la minor letalità del Covid sulle donne rispetto agli uomini. È sorprendente come gli esperti si siano dati battaglia per parlare della pandemia ed esporre teorie, ma siano tutti (tra quelli che ho sentito) caduti dal pero su questa differenza, forse volontariamente o per comodo. La spiegazione è molto semplice e si vede nel quotidiano. Le donne sono mediamente più in salute e più magre, bevono e fumano meno. Infatti, è così che si spiega anche l’aspettativa di vita maggiore delle donne a livello generale. Molti nostri politici sono andati in direzione opposta, disincentivando ancora di più l’attività sportiva per la salute. Anzi, individui come De Luca e Zaia, grazie alla complicità dei media rimasti orfani dell’argomento migranti, hanno addirittura mosso la caccia alle streghe contro il runner solitario che vuole prendersi cura di sé. Sono convinto che, se fossimo una popolazione più in salute e sportiva, avremmo avuto meno morti per il Covid. Invece, i media e i politici hanno voluto cavalcare l’onda della paura e della paranoia anziché fare una vera educazione allo stile di vita. Non solo non l’hanno fatto, ma hanno addirittura dipinto chi fa sport come un odierno untore manzoniano. Si continua a non capire cos’è importante per stare in salute, che lo sport è fondamentale per combattere meglio i malanni e non qualcosa da rifiutare ottusamente.

Nessuno è immune, ovvio. E, giustamente, un nuovo virus di cui non si ha nemmeno il vaccino dev’essere contenuto per scongiurare numeri elevati. È una cosa da prendere con massima serietà. Ma non dimentichiamo che fumo, obesità, abuso di alcol sono tutti fattori di rischio, a prescindere dal Covid. Il Covid, con la sua letalità un po’ più alta della solita influenza (un virus che sopravvive e si adatta all’uomo deve uccidere il meno possibile, non come l’ebola), ha fatto cadere tutto il castello di carte degli italiani che, per mezz’ora di camminata ma con 10 kg di sovrappeso, hanno sbandierato di essere in forma o “sentirsi bene”. I dati dalla Cina (circa 44 mila casi nell’esame) dicono che la letalità del Covid è dello 0.2% nella fascia di età dai 10 ai 39 anni. Riflettete sull’importanza dello stile di vita per fare prevenzione!

Questi sono i dati della letalità del virus per fasce di età:

Età Tasso di letalità
80+ anni 14.8%
70-79 anni 8%
60-69 anni 3.6%
50-59 anni 1.3%
40-49 anni 0.4%
30-39 anni 0.2%
20-29 anni 0.2%
10-19 anni 0.2%
0-9 anni 0%

La tabella può essere letta in tanti modi. Ci dice che un 65enne entra nella vecchiaia, ma non lo è così tanto. Se si mantiene in forma ed è sportivo, avrà una letalità paragonabile a quella di un 45enne. A 70 anni, se avete fumato o siete in sovrappeso, siete sull’orlo di finire molto male (ammesso di esserci arrivati). Se siete arrivati a 80 anni con questi problemi, di fatto siete spacciati. Tuttavia, se a 80 siete rimasti sportivi, avrete un’efficienza fisica paragonabile a un 60enne sedentario. È proprio quello che ho scritto già, ad esempio, su corsa ed età fisica. Anche l’anoressia è un fattore di rischio. Infatti, una spiegazione dei morti giovani per H1N1 può essere la debilitazione psicofisica dovuta alla guerra (malnutrizione e conseguente indebolimento del sistema immunitario).

Purtroppo, i nostri politici, sia di destra che di sinistra, hanno perso un’occasione per spiegare l’importanza dello stile di vita. Mentre in altri paesi si spiega l’importanza dello sport ancora di più in quarantena, da noi chi corre, seppur in solitaria e con le distanze, viene additato come untore finisce sotto la condanna dell’Inquisizione.

Il monito… seguiamo il modello scandinavo!

Purtroppo, temo che alcuni parlino di opportunità in modo artificiale o recitato. “È grave” ho sentito spesso. Io credo che non si sia capito che è grave quello che ci aspetta se non cambiamo per davvero. Cosa succederebbe con un virus un po’ più contagioso e un po’ più letale (*)? Il Covid può essere un’occasione proprio per comprendere un po’ il dolore dei paesi poveri o in guerra e aiutarli a risalire (aiutare non è dare la ciotola di riso o l’accoglienza senza limiti, ma sono discorsi già spiegati nell’articolo sull’immigrazione).

* Le varianti che si sono sviluppate a mano a mano sono più contagiose, ma non sono più letali.

Tante persone non hanno capito che la difficoltà non è il momento dell’emergenza, bensì il dopo (o il prima, a seconda del punto di vista). E non mi riferisco solo a riparare i danni subiti dai lavoratori. Se la società non cambia e non la smettiamo di anteporre il profitto alla salute e alla sanità, le emergenze saranno sempre più gravi e incontenibili. I flashmob a cantare sul balcone o ad applaudire non servono a niente se, passata la tempesta, vogliamo ricostruire la società esattamente com’era prima. Perché è che abbiamo sbagliato. Applaudiamo i medici e gli infermieri che fanno gli eroi, ma siamo noi che, votando male o annebbiati dalla ricchezza e dal consumismo, li abbiamo costretti a farlo con un modello di società che stava già andando al collasso. Se vogliamo ricostruire tutto uguale a prima, crolleremo ancora e non ne usciremo mai! Far parte della filiera alimentare o Decathlon è molto più importante di produrre profumi. Non me ne vogliamo i profumieri, perché è solo un esempio fra i tanti che si possono fare per spiegare il concetto. Molti non saprebbero cosa fare o dovrebbero cambiare mestiere. Ma lo so benissimo. Ecco perché propongo il reddito di benessere universale, un tipo di sistema che, evidentemente, calza a pennello con i nuovi sviluppi del futuro. Ci si dovrà accontentare di avere meno soldi, vero. Ma preferisco avere meno soldi e vivere! Compriamo un paio di scarpe da corsa (per resistere meglio al clima e alle malattie e per ritardare la vecchiaia) e meno vestiti firmati o auto di lusso. Usiamo i social network per comunicare davvero, non per creare gruppi di odio o sprecare il tempo quando non c’è nulla da fare.

Dobbiamo imparare a capire cosa è utile e cosa no. Evidentemente, continuare a costruire strade non è utile. Anzi, semmai è dannoso! Più importante sfruttare le tecnologie per la scuola, il lavoro e la ricerca scientifica. Ci servono medici e ricercatori, non i Berlusconi o i Salvini. Tutto questo si esprime con il voto. Impariamo a chiedere una società meno indirizzata all’arricchirsi e più attenta alla qualità della vita. Il problema sta sempre lì: nel voler cambiare ed essere disposti a fare un altro mestiere, magari con una busta paga più leggera. Ma è una realtà che va accettata, altrimenti non avremo scampo. La Finlandia degli anni ’70 (come in generale tutti gli scandinavi) ha saputo svoltare. Erano obbligati, perché avevano capito di non poter competere con le altre forze mondiali. Hanno fatto un grandissimo investimento sull’istruzione, che è stato meravigliosamente ripagato. Ora tocca a noi. Non farlo significa affossarci definitivamente per tanto tempo.

Covid e scenari del futuro: l’Italia imparerà mai la lezione della pandemia?