Il messaggio delle opere horror

Al di là delle creature mostruose inventate o degli effetti scenici (nei film), gli horror offrono molti spunti per riflettere. Questo perché il “far paura” non è stato l’intento iniziale di questo genere. Le origini dell’horror risalgono, infatti, alla letteratura del settecento con il romanzo gotico, nel contesto del romanticismo. Uno dei romanzi di genere gotico-horror più noti è Frankenstein di Mary Shelley che, appunto, pur con le atmosfere cupe e il personaggio del “mostro”, non fa di certo paura.

Il libro horror per definizione è la Bibbia, che vista esclusivamente come opera letteraria, senza nulla di mistico o divino, è di gran valore. Ci avevate pensato? Piaghe su ogni primogenito, apparizioni e visioni, torture e stragi di interi popoli, diluvi universali per punire gli uomini. Ha ucciso molte più persone Dio rispetto a Jason Voorhees! E anche qui, c’è l’entità maligna di turno che induce in tentazione e nel peccato, con la capacità di prendere ogni sembianza possibile. Eppure, la Bibbia è sacra e nessuno ha mai pensato che fa paura.

Possiamo dire che lo scopo dell’horror è quello di:

descrivere la parte più oscura della condizione umana.

Il termine “oscura” è usato appositamente per riallacciarsi a ciò che nella nostra società non si vuole dire o viene esorcizzato. L’horror ha l’abilità di descrivere questa condizione attraverso qualcosa di tangibile come le creature mostruose, gli zombie o i vampiri. Ma, come detto, le prime opere non avevano l’obiettivo di spaventare! È chiaro che, a meno di non essere idioti, nessuno può credere che esiste un It o un vampiro nella realtà. Una persona razionale e scientifica non può vedere un horror e spaventarsi! Ma evidentemente, la creatura mostruosa funziona benissimo nell’intento di personificare quello che ci turba o spaventa nella vita vita quotidiana. L’utilizzo delle creature mostruose è funzionale, perché è quel lato di noi che vede il male e le paure come delle entità estranee. Eppure, queste “entità” sono reali e più vicine di quanto crediamo. Renderle in qualche modo tangibili per mezzo di una creatura mostruosa ci riporta tutto agli occhi e siamo pertanto obbligati ad affrontare ciò che temiamo. È un invito: anziché scappare, impariamo ad affrontare le situazioni! Chi ha un problema e scappa, non ne verrà mai fuori e si ritroverà sempre, in un modo o nell’altro, in una situazione penalizzante. Anche le scene cruenti sono funzionale allo stesso modo. Possibile che ci impressionino? Se sì, forse c’è un problema di patosensibilità ed è troppo facile fingere che la sofferenza non ci sia non vedendola. Fidatevi che un medico del pronto soccorso vede scene molto più “horror” di quelle dei film… e loro mica si impressionano! È il loro lavoro, direte, ma allora perché una persona che non fa il medico dovrebbe impressionarsi per le scene di un film? La patosensibilità, che non c’entra niente con la vera sensibilità, è una delle piaghe della nostra società. Come suggerisce il prefisso “pato”, essa è una distorsione della sensibilità, in quanto segue un’etica di comodo, semplicistica e soggetta a incoerenze. È anche un modo per lavarsi la coscienza, ma intanto la sofferenza è sempre lì e non sparisce chiudendo gli occhi. Un esempio sono i vegetariani e i vegani. No, non è una visione negativa del mondo ma, anzi, questo è il punto di partenza per trovare strategie migliori e più efficaci.

C’è da dire che, quando si parla globalmente di un genere, non tutto è buono (o negativo, dipende da cosa si considera: la musica pop offre poco!). Spesso, i film horror di oggi sono scadenti, come se seguissero l’analfabetismo funzionale che affligge la gente di oggi (vedi quanto scritto sul perché siamo allo sbando). Ho provato a vederne qualcuno degli ultimi anni. Ma niente, zero, quasi sempre è stato uno strazio enorme al termine del quale mi sembrava di aver sofferto mille maratone! Va peggio con libri, dove credo che la maggior parte delle persone non andrà oltre al nome di Stephen King. Chi se ne intende un po’ di più tirerà fuori anche Anne Rice e Peter Straub, ma per il resto è il vuoto.

Gli zombie
Gli zombie sono un buon esempio per comprendere il messaggio funzionale degli horror. Gli zombie rappresentano la nostra perdita di umanità. Sono degli automi che camminano come degli stolti. In alcuni film di Romero, in realtà, vanno pure molto veloci e nemmeno io che corro riuscirei a seminarli. Gli zombie hanno un solo scopo: nutrirsi di cervelli. Ed è proprio questo loro scopo che fa passare il messaggio. Il cervello, materialmente e metaforicamente, è ciò che ci contraddistingue come animali razionali e senzienti. Il cinema horror lancia un messaggio critico nei confronti di una società superficiale e sopravvivente, portandoci a galla ciò che diamo scontato. L’industrializzazione ci ha portato degli aspetti positivi, ma anche negativi. O basti pensare all’era attuale dei sociali network. Postiamo tutta la nostra vita in diretta con i selfie, ma non c’è più quell’umanità che ci contraddistingue. Infatti, alcuni horror recenti con zombie si basano su questa evoluzione degli ultimi anni. Lo zombie non è una creatura del soprannaturale, che ci spaventa, ma diventa un essere a sé, con una sua sensibilità e con un suo modo di pensare. Ma questo suo modo di pensare non viene manifestato con il linguaggio dei normali esseri umani, che infatti considerano gli zombie come dei mostri cattivi che mangiano solo cervelli. Si ribalta tutto, ed ecco che lo zombie si rivela una figura ben più umana dell’uomo stesso! L’uomo si limita a sopravvivere nella vita quotidiana, sprecando ciò che lo rende tale, mentre lo zombie si nutre di qualcosa per vivere e, paradossalmente, ha uno scopo più “profondo”.

Il messaggio… due esempi!

Siccome la frase in grassetto di prima (sullo scopo degli horror) può essere poco chiara, il miglior modo per capire cosa si intende è con gli esempi. Ne voglio fare due (un libro e un film), per spiegare come funzionano l’analisi e la riflessione. Una volta che capite il meccanismo, potete farlo con altre opere, magari imparando anche a distinguere le opere ben fatte da quelle scadenti.

Carrie (Stephen King)
Si notano due tematiche forti nel libro. La prima è quella del fanatismo religioso che penalizza gravemente i figli, in questo caso la protagonista Carrie. Emblematico l’episodio in cui Carrie ha le mestruazioni, ma Carrie non sa cosa siano perché la madre non gliel’ha mai spiegato. E i suoi compagni di scuola la prendono in giro quando le ha per la prima volta nello spogliatoio della scuola. L’altra, com’è intuibile da questo episodio, è il bullismo. Poche opere trattano così bene il bullismo, che si sviluppa sia da parte dei coetanei di Carrie sia da parte dei professori. King descrive il bullismo con estrema cattiveria, senza buonismi, nel suo puro stato di “gratuità”, con gli adulti incapaci di reagire al problema o che addirittura partecipano alle violenze. Ed è proprio per questo che tocca il lettore! Lo sviluppo della trama e del finale rappresenta sia il tentativo di ribellione da parte di Carrie nei confronti di tutto questo sia, allo stesso tempo, una rassegnazione a ciò che sembra il suo destino fin dalla nascita, un destino che lei non ha scelto ma in cui si è trovata.

Nightmare
Ancora problematiche dei giovani, ma in chiave diversa. C’è il mostro di turno, Freddy, il quale si manifesta solo negli incubi dei ragazzi protagonisti di volta in volta nella saga. Il filo comune è che gli adulti non credono quasi mai ai ragazzi, e a volte nemmeno i ragazzi si comprendono tra di loro. Ci si sofferma sulla mancanza di comunicazione tra adulti e giovani, con il mondo dei giovani che appare separato da quello degli adulti. Freddy rappresenta tutto ciò che turba la mente di un liceale nella sua critica fase di crescita verso la maturità. È l’incarnazione delle angosce e delle insicurezze umane. Stiamo parlando degli anni ’80, ovvero un periodo storico in cui i giovani si ribellavano al conformismo (ad esempio con la musica metal) e aprivano le porte a una nuova società. Il messaggio è ancora attuale, perché anche oggi, spesso, gli adulti non ascoltano i propri figli e su che provoca loro disagio o insicurezza. Figli che poi magari hanno problemi comportamentali o sono depressi, ma a cui i genitori reagiscono con superficialità o severità, senza capire o voler capire che cosa sta dietro al loro malessere. Freddy incarna le paure e le angosce dei giovani e il messaggio in pratica è: “genitori, imparate ad ascoltare di più i vostri figli!”

Naturalmente, un artista non è che si mette a tavolino a studiare precisamente tutti i messaggi che vuole trasmettere. Risulta tutto spontaneo. E come sempre quando si tratta di un’opera artistica, ogni ricevente avrà la sua sfumatura nell’interpretare il messaggio. Ciò però non nega che ci sono delle tematiche che hanno spinto l’autore a realizzarla. Forse, è anche per questo che gli horror di oggi sono mediamente così vuoti. La gente sembra non avere più nulla da dirsi di profondo, troppo intenta a postare selfie su Facebook e ad apparire. Ma questo è un altro discorso. Un film horror successivo alla “generazione d’oro” che mi ha colpito è Lasciami entrare del 2008 (già romanzo nel 2004). In questo film, la crudezza del bullismo, della sociopatia e di altri problemi come la droga e la pedofilia è in antitesi con la sensibilità dello strano rapporto che si instaura tra i due protagonisti. L’intento è fare un parallelismo su ciò viene visto come strano e ciò che è normale, ribaltando le due condizioni. La vita comune è normale, ma com’è possibile che la normalità sia fatta di violenza e cattiveria? E com’è possibile che ciò che teoricamente è abominevole possa celare un animo buono e sensibile?

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