Insufficienti e ultima spiaggia

L’amore di coppia è l’idolo della nostra società per definizione. Film romantici e del genere “born romantic” spopolano, facendoci di fatto credere che una vita pienamente realizzata sia solamente con un partner. D’altronde fin da piccoli siamo condizionati con il mito del principe azzurro e della principessa. Particolarmente sensibili sono le donne, che fin da bambine sono indirizzate al ruolo di madre e moglie attraverso il gioco con le bambole. Tutto questo non fa altro che mietere un sacco di vittime in modo molto subdolo, forse più di quello che fanno, poiché si tratta di mente umana ed emotività, i comuni tumori. Il grande pericolo che provoca questo tipo di condizionamento è l’incapacità di essere indipendenti. Cosa si intende con questo? Siamo abituati a concepire l’insufficienza pensando ai classici “bamboccioni”, quindi sotto un aspetto materiale. Qui parliamo di un diverso tipo di “bamboccioni”, ovvero di coloro che hanno bisogno di una relazione sentimentale per andare avanti, per sentirsi pienamente appagati. Spesso ho sentito dire da questi soggetti che prima erano felici comunque, ma poi si scoprono frasi da rabbrividire come:

– “se perdessi il partner, non me lo perdonerei mai”;
– “senza di te, non vivo”;
– “sei tutta la mia vita, sei tutto ciò che desidero”.

Grandissime frasi ad effetto, ma un pericolosissimo boomerang esistenziale. Vuol dire che in realtà prima non si era affatto felici e ci si sta solo raccontando una bugia. Questo meccanismo diventa tanto più grave quanto più ci si avvicina a una fase di età più tarda e, anche qui, sono sempre le donne ad essere più sensibili. Perché un uomo single è visto semplicemente come uno scapolo, mentre una donna single è vista come una zitella. Ecco che allora, pur di non rimanere soli, si opta per la strategia dell’ultima spiaggia. Una volta, una ragazza sarda, studente universitaria, si trasferì in Inghilterra con il partner per allontanarsi da casa. Siccome nessuno di loro due aveva un oggetto d’amore vero e proprio, e dunque non sapevano realmente essere indipendenti dal punto di vista esistenziale, lei asserì che, siccome si sentiva sola e non aveva amici, voleva dei figli. No comment. Un altro episodio mi è capitato di recente, dove un’atea si è fidanzata con un religioso, non pensando a tutte le divergenze etiche. E se si hanno figli, come li si educa? Li si battezza? L’aborto è un crimine o no? Dio esiste o no? La frase “Io credo in Dio ma ognuno ha la sua individualità” che mi è stata riportata è del tutto priva di senso, letteralmente allucinante. Non vuol dire nulla, è solo una frase di nullo spessore razionale che ha il goffo tentativo di fare come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia e sperano di non essere scoperti. Tutto questo avviene proprio perché si è incapaci di essere indipendenti, di reclamare la propria autonomia. Lei, con gli anni che passano inesorabilmente e quindi deve darsi da fare alla svelta, rinuncia ai suoi ideali o scende pilatescamente a compromessi per far funzionare la relazione. E dall’altra parte? Uno religioso che crede nel matrimonio, l’altra che bestemmia. Immaginare i figli in un contesto del genere causerebbe solo confusione. Ok, si decide di non avere figli per eliminare alla radice il problema? Va bene, ma rimane sempre il fatto che ognuno rinuncia a una parte importante di se stesso “pur di” avere un partner accanto. Si rinuncia alla propria libertà, a se stessi, a quello in cui crediamo, riadattando a uso e comodo la propria etica. A questo punto trattasi di un’etica piuttosto di cartapesta, che non vale nulla, o si ha un’etica solo in base alla persona con cui si vuole stare. So che a molti posso sembrare drastico nella descrizione degli scenari, ma chissà perché chi mi contesta è giusto alle prime fasi della relazione (che può anche essere di mesi o nel primo anno) e ancora si spera che magari l’altra persona cambi. Salvo rimanere delusi quando ciò non avviene. Il tutto causando pesanti drammi esistenziali.

Sarò sincero, questa insufficienza che ho appena descritto sembra, a quanto pare, un vero e proprio virus epidemico. È triste pensare che la gente, anziché imparare a camminare sulle proprie gambe non solo materialmente, basi la felicità “somma” esclusivamente sulla presenza di un partner. Ho visto tanta gente cadere in depressione, sfociare nell’autolesionismo, drogarsi e quanto di peggio a causa di questo micidiale virus. Eppure la “cura” è lì, così ovvia, ma così altrettanto snobbata. Si potrebbe avere il massimo della qualità della vita da soli piuttosto che farsi limitare nella propria individualità e nella propria libertà con un partner non del tutto compatibile, con punti di vista fortemente distanti. Il compromesso non è la soluzione e in amore non ci dovrebbe essere compromesso, non ci dovrebbe essere riadattamento. L’amore vero, sano, equilibrato, è quello che permette a ciascuno di esprimere pienamente se stessi e la propria libertà. O, nei casi estremi, diventa una patologia. Si dovrebbe prendere esempio da Robert Marchand. Con oltre 70 anni da vedovo e senza figli, a 105 anni ha realizzato un record dell’ora nel ciclismo nella sua categoria di età. Evidentemente, Marchand, dopo la perdita della moglie, non ha trovato un’altra donna a lui compatibile (o semplicemente era devoto alla moglie, ma il concetto non cambierebbe). Consapevole di ciò, è stato lo stesso capace di trascorrere una vita al 100%, da leggenda. Leggenda non tanto per i suoi record, ma per la sua globale capacità di amare la vita, cosa che non possiedono gli insufficienti descritti perché, quando non hanno il partner o lo perdono, crollano come crolla un edificio senza basi solide al primo soffio di vento forte.

Quasi sempre, non riesco a convincere l’interlocutore delle mie argomentazioni a riguardo di quanto trattato in questo articolo. E secondo me è un peccato, un vero peccato che ci fa perdere molto dalla vita. Ma non importa. Sarà sbagliato quel vecchio arrogante di orphaeusest, ma domani andrò ad allenarmi come al solito senza passeggiare con il walkman, integrandomi perfettamente con il clima e l’ambiente a me circostante, dando il massimo di me stesso anche se i tempi sono mediocri. Mi butterò nella sperimentazione di nuove ricette, perché amo il cibo e non temo di ingrassare al primo sgarro, facendo sport per mantenermi in salute. Guarderò una delle mie serie televisive come Law & Order o Doctor Who non solo per il piacere di vederle, ma per avere spunti per comprendere il mondo, andando ad approfondire le tematiche proposte. Parlerò di calcio con un mio amico che ho da più di dieci anni o leggerò qualche articolo scientifico e saprò di aver raggiunto un grande successo: la mia libertà. E in questa libertà, l’amore di coppia sarà una possibilità solo nel caso in cui troverò una donna a me realmente compatibile, senza farmi andare bene quella che più trovo simpatica, disposta e piacente a differenza di chi si muove il più in fretta possibile perché dietro la nuca ha una scadenza come quella del latte. Per questi ultimi, c’è solo una cosa da dire: amen.

Quando la prigione in coppia è una scelta