Quando la prigione in coppia è una scelta

Essere liberi al 100% nella vita è impossibile, d’accordo. Vivendo in società, già abbiamo il lavoro come prigione sociale (se è un hobby o un oggetto d’amore, non si parla più di lavoro proprio perché piace o lo si ama). Non contenti di ciò, ci sono però tante persone che scelgono di crearsi da sé la propria prigione. Avevo già parlato della strategia dell’ultima spiaggia, ovvero delle persone che non riescono a realizzarsi nella vita se non hanno una vita di coppia come top dell’esistenza e della felicità. Ma, discutendo, gli spunti di riflessione non mancano mai. Tutto è partito dall’affermazione della mia interlocutrice sul ritenere possibile una vita felice da single, ma essa ha affermato che una vita di coppia rimane migliore in ogni caso. Chi è attento ai dettagli non può evitare di notare che l’affermazione sottintende che è non migliore una vita con quella persona, ma di base una vita di coppia. Come dire: si può essere felici da single, ma rispetto all’avere un partner è una felicità di serie B. È proprio questa concezione che poi scatena un sacco di drammi esistenziali e la realtà quotidiana mi dà ragione se vedo quanti divorzi ci sono (e meno male che ci sono i divorzi, almeno c’è la possibilità in qualche modo di rimediare!). Troppe persone non scelgono davvero liberamente il partner, ma sostanzialmente quello che in quel momento va meglio e con cui si pensa di poter far funzionare una relazione. Ecco che allora si trascura tutta una serie di dettagli che, magari, singolarmente sembrano delle sciocchezze, ma che nella globalità non ci rendono liberi di essere realmente quello che siamo e vogliamo essere. C’è una domanda che pongo a tutti i lettori che hanno un partner. E rispondete sinceramente. La domanda è la seguente:

se quella persona fosse del nostro stesso sesso, sarebbe una vera amica per noi e ci accetteremmo reciprocamente del tutto?

Tralasciando l’obiezione (legittima) di chi è omosessuale, l’amore di coppia non si basa (solo) sull’attrazione estetica della giovinezza o su una generica simpatia, ma prima di tutto su un legame profondo di vera amicizia, di accettazione globale del proprio io. Ed è questo che fa durare un rapporto per decenni. Tutti elementi che la persona con cui ho discusso qualche ora fa non recepisce minimamente, e come lei ce ne sono tantissime altre che, per l’incapacità di trovare degli oggetti d’amore, si imbarcamenano in relazioni che a lungo andare non appagano e non rendono felici. Queste persone sono infatti solite usare espressioni come “relazione sana”, “serenità”. Non mostrano mai un bel sorriso enorme con tutti i denti ben in vista. Al più abbozzano un sorriso, ammettono una piacevolezza sapendo di avere, tutto sommato, una quotidianità non disastrosa. Ma di certo non è nemmeno una quotidianità “da leggenda”! E per guadagnare una qualche forma di stabilità, scendono a patti, compromessi e riadattamenti per mandare avanti la relazione. A chiunque abbia un po’ di sale in zucca sorgerebbe la domanda: e chi te lo fa fare?

– Se per far funzionare una relazione devo andare subirmi film “stupidi e inutili” al cinema, dico no grazie.

– Se per far funzionare una relazione devo subire che l’altra persona, in cuor suo, non approvi il mio bestemmiare perché io sono ateo e la bestemmia per me è come una normalissima parolaccia detta come intercalare, mentre l’altra persona è religiosa, dico no grazie.

-Se per far funzionare una relazione devo convivere con la realtà che i nostri ideali sono in contrasto in molti aspetti, dico no grazie.

– Se per far funzionare una relazione devo accettare che l’altra persona sia sedentaria e pantofolaia mentre io voglio fare qualcos’altro dopo una faticosa ma gratificante corsa, dico no grazie.

– Se per far funzionare una relazione devo rinunciare alla mia libertà… dico sempre no grazie!

Ma come al solito, quello che non ha capito nulla e che filosofeggia soltanto sono io, e sono io quello che non è adulto. Sarà, probabilmente non sono adulto perché voglio avere la possibilità di scegliere una partner che sia compatibile a me e che abbia tanti interessi da condividere con me, e dall’altra parte desidero che si faccia altrettanto. Forse sbaglio io a concepire l’essere adulti e maturi con la capacità di amare il mondo in senso globale, approfondendo tutto ciò che mi capita fin nei dettagli e guardando oltre il mio orticello. Sarà che per me essere adulti è tutto questo e non l’essere dei “bravi ragazzi” che non sgarrano mai ma che, allo stesso tempo, non trasmettono energia vitale, sopravvivono e sono imprigionati in un quotidiano che a volte è piacevole e altre volte è sopportato, ma mai “da leggenda”. Ma trovo anche che sia puro masochismo portare avanti una relazione dove non si è liberi. Le mie sono parole dure, molto critiche. Ma tali parole sono conseguenza del fatto che è l’argomento ad essere critico e preso troppo facilmente con superficialità, a caso. Potremmo giustificarci quanto vogliamo sull’aver tratto esperienza da una relazione andata male, fallita, terminata. Ma quando si persevera diventa diabolico. Bisogna gettare lo sguardo a lungo andare. È troppo ottimistico sperare che l’altra persona cambi o che si adatti al nostro essere, “prima o poi”. Spesso infatti o finiamo noi per accettare l’altra persona con rassegnazione o si deve per forza mollare la presa, stanchi di vivere in prigione.

Una vita in catene