La visione moderna del lavoro… smettere di lavorare?

La nostra società sembra segnata da fasi di vita prestabilite. Nasci, vivi i migliori anni di vita da bambino, finisci gli studi. Poi inizi a lavorare per tutto il resto della vita, nella convinzione che altrimenti non fai il tuo dovere, e dalla pensione alla morte è un passo. In pratica è una lenta, ma inesorabile agonia dopo che da bambino ti illudono che è tutto bello a rose e fiori. Tutto questo avviene mentre i paesi scandinavi lavorano, invece, sempre meno e la Finlandia sta sperimentando il reddito di benessere universale garantito senza condizioni, una vera e propria novità visto che il benefit nei paesi più moderni, ad oggi, ha sempre una qualche condizione (cioè essere disponibili al lavoro). Per l’Italia è già un livello troppo evoluto ma, mentre non riusciamo a sbloccarci nemmeno sulle basi di una società moderna, chi è più avanti va ancora più avanti e chi è più indietro, come noi, arretra sempre di più. Le pensioni sono una miseria, non c’è tutela per i disabili e i più deboli, si inventano poi i “bonus mamma” e il reddito di inclusione, salvo scoprire che o sono l’equivalente di un’elemosina per un senzatetto o non c’è un reale sostegno per chi ne ha bisogno.

Purtroppo, quando dico che il lavoro è una prigione sociale passo ancora per quello fannullone o matto. Inevitabile, quando cresci in un paese poco attento al benessere e che promuove frasi come “prima il dovere, poi il piacere”. Inevitabile, in un paese dove lo slogan è “un paese fondato sul lavoro”. Sì, peccato che 1) il lavoro comunque non ci sia e 2) chi ce l’ha, si ammazza per pochi spiccioli e una pensione che forse non vedrà mai. Quello slogan, a mio parere, oggigiorno ricorda molto quello al cancello del campo di Auschwitz. Intanto i Briatore e i Berlusconi navigano beati nei paradisi fiscali e Renzi gioca con le banche di famiglia. Esattamente come i carnefici nazisti che vivevano nel lusso mentre gli altri morivano in guerra o nelle camere a gas. Si deve proprio essere fessi per credere nel motto del paese fondato sul lavoro. E guarda caso, però, i paesi dove si lavora meno sono quelli più felici!

La visione moderna del lavoro

In teoria, il lavoro dovrebbe servire per avere il pane con cui vivere. Fin qui niente di male, anzi. Il punto è che il concetto di lavoro come lo abbiamo conosciuto in passato sta cambiando. In tanti non se ne accorgono, ma altri sì. Le industrie sono sempre più robotizzate e la tecnologia sta gradualmente sostituendo l’uomo. Dovrebbe essere un male? A mio parere, a meno che non parliamo di alienarsi con Fessibuc e roba simile, no. Vuol dire che c’è più tempo libero. Un lavoro da 10 ore per 1000 operai adesso è fatto da una serie di macchine per cui bastano un paio di persone a manutenzione e controllo. È questo il futuro del lavoro. Tanta gente finisce a spasso? Ma non è vero, se entriamo nella mentalità del reddito di benessere. In pratica, i robot, sotto la supervisione di pochi operai umani, producono il denaro che poi viene ridistribuito alla popolazione. Sembra macchinoso, ma resta il concetto per cui niente si crea e niente si distrugge! Purtroppo questa nuova e futura visione del lavoro è poco accettata da un popolo vecchio come l’Italia, che crede ancora nell’investimento sugli immobili o si crogiola sui vecchi successi dell’atletica di 40 anni fa. E intanto rimaniamo indietro mentre gli altri vanno avanti…

Attenzione, il lavoro comunque non sparisce. È semplicemente ridimensionato a una società moderna, che punta di più sulla qualità della vita. A tutti dev’essere garantita la minima sopravvivenza, poi chi vuole guadagnare di più per avere un maggior status quo ne ha tutto il diritto. Così come gli artigiani e gli artisti possono far fruttare economicamente le loro passioni e i loro oggetti d’amore, se sono realmente capaci, ma in questo caso non ha più senso il termine “lavoro” semplicemente perché sono interessi che si coltivano ben volentieri anche senza un ritorno economico. Insomma, il minimo è un diritto per tutti, ma se si vuole di più bisogna meritarselo e non pretenderlo. So che comunque questo punto non è ben compreso da tutti. Ad esempio una volta ho letto una ragazza che si lamentava di sopravvivere da stagista, ma intanto l’affitto era pagato dal padre e lei fumava (cioè soldi spesi inutilmente e per danneggiarsi la salute) e non voleva “abbassarsi” in nessun modo a fare lavori più “umili”. La sua era una pretesa di poter vivere un certo stile di vita, rivelando un carattere violento e presuntuoso tipico di chi, evidentemente, non aveva le qualità necessarie per quel lavoro ma voleva lo stesso un lauto stipendio e rifiutava di fare la cameriera. Questa non è disoccupazione, è un chiaro esempio di essere viziati! Perché si deve cedere al ricatto di chi, con la sua incompetenza o incapacità, non sarebbe produttivo, ma farebbe solo perdere soldi? La cosa sconcertante è che la maggior parte dei commenti era a favore della ragazza, cosa che mi ha fatto capire che con questa demagogia siamo ancora lontani dalla risoluzione. Ma mi raccomando, poi, sono gli stessi che si lamentano di Alitalia e Trenitalia. È meglio che lavorino in pochi ma bene piuttosto che in tanti male e scazzati! Io ho sempre pensato che si debba studiare all’università perché si ama quella materia, non pretendendo di avere un lavoro perché si ha un pezzo di carta. Se uno non dimostra di essere più bravo di tutti gli altri, si ridimensioni e sia disposto anche a fare il cameriere. Anzi, sono convinto che fare il cameriere dà molta più tranquillità rispetto al presentare un complesso progetto a una multinazionale. Ancora una volta, però, siamo indottrinati che è questa la vita a cui tutti dovremmo aspirare. Uno status quo, appunto, non una valorizzazione dell’io in senso esistenziale. E questo ingranaggio storto della società porta per forza di cose a tante aspettative deluse e problemi.

Il tempo libero

Questa è la parte chiave del discorso, forse. Io sono uno sportivo e, quando indago sul perché altri non trovano il mio stesso tempo, che non occupa di certo le intere 24 ore e non sono un professionista che fa sport a tempo pieno, mi sento rispondere che c’è il lavoro, che nella vita c’è altro. Da un lato, in quel “altro” ci sono sicuramente dei tentativi di alibi, ma dall’altro lato è anche ovvio che il lavoro ci costringa a limitazioni. Sveglia alle 7:00 per essere a lavoro alle 8:00, e tra pausa pranzo ed eventuali extra si è liberi solo a quasi ora di cena. E allora chi ha voglia di uscire a fare una sgambata? Alcuni preferiscono dedicare questo momento alla famiglia e agli amici. Altri, beh, crollano direttamente, stanchi innanzitutto della vita più che per il lavoro. Sicuramente, anche per chi lavora è possibile inserire lo sport in modo salutistico, ma è altrettanto innegabile che, se le ore di lavoro fossero minori, avremmo molto più tempo libero a disposizione. Provate a immaginare una giornata lavorativa di 7 ore anziché di 8 ore. Vedrete che cambia tantissimo già solo con un’ora in meno, ma meglio ancora con 6 ore! Utopia? Ma per niente, nei paesi scandinavi e in Germania hanno già capito che 8 ore sono troppe e si sta già sperimentando l’orario ridotto. Non per problemi familiari o maternità, ma come orario di lavoro standard, anche a base volontaria. Noi italiani abbiamo il terribile vizio di considerare come utopia o assurdità ciò che altrove funziona ed è normale. Se anche noi impariamo a modernizzarci, anche noi possiamo fare ciò che fanno i paesi con più benessere!

Certo, faccio l’esempio dello sport perché io amo fare sport, ma vale per tutti gli interessi che ognuno ha. Potete dedicarvi per più tempo a tutto ciò che amate. Il tempo è tutto vostro e potete gestirlo come vi pare. Amici, famiglia, sport, giardinaggio, corso di ballo… insomma, tutto quello che volete.

Sarebbe una vita da fannulloni? Mah, sinceramente, in realtà noto proprio il contrario. Il classico lavoratore lo vedo quasi sempre come quello che si sveglia al mattino presto tutto rimbecillito. Arriva a lavoro e per la prima ora è ancora in fase zombie. Si concede l’attimo di libertà all’ora di pranzo, dove ha subito l’abbiocco perché ha tirato tardi in nottata a ubriacarsi, e fatica a riprendere fino all’ora d’uscita dalla cella. Ogni settimana, attende il venerdì, senza però accorgersi che, di venerdì in venerdì, arriverà anche l’ultimo venerdì della vita. E guardandosi indietro, forse si accorgerà di quanto tempo ha buttato via sopravvivendo. Sono tutte persone convinte che devono lavorare per mantenere i propri vizi, il mutuo, per pagare i debiti. E cosa rimane della “vera” vita, poi? Nulla, ovviamente. Non a caso, lavorare funziona nel caso di persone con problemi psicologici o che soffrono di depressione, che alla radice hanno scarsa capacità di trovarsi oggetti d’amore. Funziona come terapia per loro, ma non per chi vuole aspirare al massimo della vita. E, no, aspirare al massimo della vita non vuol dire fare i nababbi o comprarsi il suv che succhia via metà dello stipendio. Quest’ultimo è un approccio alla vita distorto, che porta a un’errata concezione della competitività. Andrò controcorrente e mi beccherò valanghe di critiche, ma trovo assurdi tutti quei vari corsi di PNL e altro che ci alienano per convincerci che possiamo tutti essere manager di successo. Intanto però si sopravvive di idoli, per un qualcosa che non appaga realmente se non l’apparenza o lo scimmiottare esempi di vita di persone ricche che, comunque, moriranno come tutti gli altri. Non mi pare affatto che tutte queste persone esprimano il senso più puro di vita vissuta al massimo. Al più sono sbandati e dissoluti, che è tutt’altra cosa!

La semplicità è un valore. Se lo capissimo, ci renderemmo conto di quante cose inutili facciamo nella vita. Impareremmo a dedicare il tempo che abbiamo in oggetti d’amore e passioni che ci donano gioia e felicità e non solo “soddisfazioni” all’interno di un’esistenza da schiavi. Ci renderemmo conto di come abbiamo perso il contatto con le cose profonde, con l’essenza di ciò che conta davvero per essere felici. Tantissime persone non lavorano per avere il pane con cui vivere (anche se può suonare strano dirlo in Italia), ma per sentire di essere vivi con i debiti. La villa di lusso, il macchione, la famiglia con un esercito di figli. Come una droga, appunto. La droga è indebitarsi, il mantenimento di un certo tenore di vita. E i furbastri lo sanno, così martellano 25 ore su 24 con pubblicità che ci illudono di poter raggiungere il successo con quel o quell’altro metodo. “Devo spendere” è la parola d’ordine, perché altrimenti non c’è altro nella vita. Beh, a mio parere, i fannulloni sono proprio loro! Loro che, se non pagano qualcosa perché “se lo possono permettere”, snobbano tutto. Della serie, sono schiavo a vita e almeno concedimi una “soddisfazione” per giustificare la mia schiavitù. Loro che tornano a casa frustrati e stressati per via dei capi sadici e dei colleghi insopportabili e se la prendono con il partner. Loro che sono così stanchi della vita che, davanti alla TV dopo una “dura” giornata di lavoro in UFFICIO, crollano inesorabilmente addormentati. Hai voglia a definirla vita…

L’avanzata cinese e indiana

A chi mi contesta la visione della società che ho, faccio presente che India e Cina stanno avanzando (*). Non solo hanno appreso i metodi degli occidentali, ma li hanno anche migliorati e sono più numerosi. L’occidente è vecchio e obsoleto. Cerca di difendersi con il sovranismo, ma è impossibile vincere contro due forze che, insieme, rappresentano quasi 1/3 della popolazione mondiale. L’unica speranza per l’occidente di non venire affossato è coltivare una nuova società, basata sulla qualità della vita. L’industria cinese e quella indiana è domineranno nel futuro e già lo sta facendo parzialmente. Inutile fare la guerra dei dazi o inventarsi la storia dei cinesi che mangiano bambini. A parità di armi, i numeri vincono. E cinesi e indiani sono di più a mani basse. Non c’è proprio Salvini o Trump che tenga… o si cambia o l’occidente muore! Non è che arrivano i cinesi, ci invadono e conquistano (forse è la coda di paglia per il passato colonialista dell’occidente?). Si tratta di primeggiare in altri settori, come hanno fatto gli scandinavi. A conti fatti, non sono tanto i cinesi che ci distruggono, bensì l’incapacità dell’occidente stesso di cambiare il suo sistema. È del tutto legittimo che anche gli altri paesi vogliano crescere. Bisogna accettare questa cosa e maturare il sistema occidentale in quello scandinavo. Se l’occidente non vuole morire, deve puntare sul tempo libero e la qualità della vita, mantenendo i lavori che ancora possono funzionare come il turismo (e per l’Italia sarebbe la salvezza) o le banche in Svizzera. Se ci si incaponisce con l’industria, solo un illuso può pensare di non essere annientato da popoli determinati ad emergere (qualità che gli italiani in primis non hanno) come l’India e la Cina.

* Obietterete che, se India e Cina cresceranno come gli occidentali, provocheranno danni ingenti ambientali. In realtà, loro sono perfettamente consapevoli di ciò e ci stanno lavorando. Hanno solo bisogno di più tempo (vedi sui cambiamenti climatici). Non mi stupirei se, una volta raggiunta una certa ricchezza, agiranno prima di molti paesi occidentali! Il fatto che la Cina abbia accettato meglio le perdite economiche del COVID-19, rispetto a molti paesi occidentali ancora meramente attaccati al portafoglio, è già un segnale. Oppure penso alle restrizioni sulle auto, con la promozione dello scooter elettrico come mezzo di trasporto, anche quando le temperature sono rigide. Siamo sicuri che i cinesi siano così indietro nell’ambiente?