Sport americani e superleghe, perché lì funziona e da noi è una farsa

Negli ultimi anni, in Europa sta prendendo sempre più piede l’idea di “superlega”. Il calcio ha trovato una specie di compromesso con la Champions League (dal 2018-2019), ma continua a privilegiare pochi a discapito della meritocrazia (ben 20 squadre su 32 che formano i gironi provengono solo da 6 paesi senza fare qualificazioni – vedi “Il calcio di una volta che non c’è più“). Il basket è diviso, tra l’Euroleague delle licenze gestite da un’autarchia ristretta e una Champions League gestita dalla federazione europea. La critica che leggo spesso in giro è che questo è il futuro, che in America va così da anni. Ebbene, no, quello che sta avvenendo in Europa è solo una versione distorta e patetica del sistema sportivo americano. E questo lo dico da per niente simpatizzante degli americani. Ho già più volte avuto modo di dire che gli americani sono indietro come indice di benessere. Ma qui stiamo parlando di sport, un argomento a me caro. Certo, a voi dello sport di per sé può non fregare, ma provate a riflettere sul fatto che lo sport è specchio e conseguenza di com’è il popolo. L’Italia non partecipa ai Mondiali in Russia perché i giocatori sono mediocri, ma mediocri sono i giovani italiani in tutto (vedi “I somari nazionali, perché siamo allo sbando“). I troppi stranieri sono solo un effetto secondario che non cancella questa realtà. Comunque sia, tornando in discorso, siccome sento sempre ripetere la storiella dell’imitare gli americani, mi sono stancato e ho deciso di chiarire il discorso.

Le differenze

Chi paragona le recenti evoluzioni nel panorama sportivo europeo dimentica due cose fondamentali:

– gli Stati Uniti sono una confederazione di stati, ognuno con proprie leggi con a capo il sistema federale (vedi l’FBI);
– gli americani devono garantire livelli alti in tutti gli sport.

L’interesse delle superleghe europee non è affatto quello di garantire un livello alto negli sport, ma quello di far governare una ristretta élite distruggendo tutte le altre società. Negli Stati Uniti, infatti, ogni grande città ha la sua tradizione sportiva e su questa basa ingenti somme di denaro per partecipare alle leghe di primo livello come lo è l’NBA o l’NHL. Solo così è possibile mantenere un livello competitivo elevato ad esempio nel basket, nell’hockey o nel baseball, sport dove storicamente gli americani dominano. Se una città non ha uno sport, ce n’è almeno un altro. Ad esempio nel Missouri non c’è nessuna squadra nell’NBA, ma ci sono il baseball, l’hockey e il football americano. Così è possibile, in generale, permettere a una grande città o a uno stato di avere almeno uno sport per tradizione. E sono tutti d’accordo a fare così, perché conviene. Infatti, quando poi gli Stati Uniti partecipano alle competizioni, sono spesso tra i primi. Basta vedere il medagliere alle Olimpiadi per accorgersene. Qualcuno obietterà: ma gli americani non sanno giocare a calcio, lo chiamano pure soccer! Errore. Anche qui vale sempre il concetto di “specializzazione”. Negli Stati Uniti, il calcio (o soccer, come dicono loro, anziché football come i britannici) è prettamente femminile e, guarda caso, la Nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti è una delle più forti al mondo, l’equivalente del Brasile tra i maschi.

Tra l’altro, le maggiori leghe sportive negli States hanno comunque un sistema di campionati “minori”, vedi ad esempio la D-League nel basket, cioè una specie di nostrana Serie B dove far maturare i giocatori giovani o quelli da “smaltire” che non trovano posto nella rosa principale. Questo, soprattutto negli ultimi anni, ha permesso di avere molte più opportunità, ma ovviamente in cima arrivi solo se sei un campione com’è giusto che sia. Notate la differenza. A loro interessa che nelle leghe di primo livello arrivino i grandi campioni (superpagati, si intende), non che venga mantenuta l’élite di pochi come invece avviene da noi. Che poi parliamo sempre di franchigie (si chiamano così i loro club) straricche, è secondario.

Una cultura sportiva poliedrica

Questa è la peculiarità dello sport americano. Non sei bravo nel basket? Prova il football americano. Non sei bravo nel football americano? Prova il baseball. O prova l’hockey. E via dicendo. In questo sistema che può sembrare atipico, ma efficacissimo a garantire i massimi livelli, sono riusciti a entrare anche i canadesi che, “poverini”, sono solo 1 decimo degli americani e, infatti, le loro maggiori squadre sono dirottate nell’hockey. Già in Italia le cose sono molto diverse e, se non fai calcio, praticamente sei out. A parte piccole realtà locali, ovvio, ma non è così che quel movimento cresce seriamente. Purtroppo, da noi, si vuole sempre in qualche modo “centralizzare”, “universalizzare”. Alla fine si finisce per fare solo un sacco di confusione. E non solo non si riesce a competere, ma viene a mancare il principio di meritocrazia. Agli Stati Uniti non interessa che ci siano retrocessioni e promozioni. Non servono, perché ogni tipo di sport ha già uno standard, attraverso una ramificazione su tutto l’enorme territorio. Funziona così com’è e gli investimenti sono notevoli. La dimostrazione sta nel caso di New Orleans. Mentre i Saints, del football americano, sono seguitissimi, i Pelicans nell’NBA non riescono a entrare nel cuore della Big Easy. Da noi non è possibile replicare questo sistema. Si finisce per scimmiottarlo. In Italia, se non giochi a calcio, come detto sei spacciato. Se ti piace il basket, è dura. Mi ricordo quando giocavo io da piccolo a basket. Ogni comune permetteva di giocare a calcio, mentre per giocare a basket bisognava spostarsi anche a 15-20 km di distanza per allenarsi in una squadra. E gli allenatori erano più che pessimi, praticamente improvvisati. Ma davvero vorremmo usare come alibi il sistema americano per approvare un sistema, cioè quello attuale europeo, che invece ha come obiettivo il mantenimento dello status quo di pochi? Ma sveglia, vi stanno prendendo per i fondelli! Una Superlega è possibile, non dico di no in assoluto, ma solo se fosse una conseguenza di una scelta più equa tra gli sport. Se il calcio è il monopolio e le provinciali hanno, nell’insieme, un grosso stuolo di fan, la Superlega è solamente un danno.

Negli Stati Uniti, anche lo sport femminile è molto seguito, specialmente il calcio e poi la WNBA. Al netto della popolazione obesa, mi sento di dire che le probabilità di sfondare nello sport è maggiore negli Stati Uniti. E, non a caso, gli americani sono sempre tra i primi nel medagliere delle Olimpiadi. Ci riescono perché ogni sport, e non solo uno, è promosso ai massimi livelli. Se non siamo adatti per uno sport, magari lo saremo in un altro e troveremo la nostra dimensione. Certo, per finire in NBA ci vuole la genetica, ma la probabilità di giocare in qualche campionato è maggiore se possiamo provare più sport. Sono noti i casi di grandi campioni americani che hanno iniziato con uno sport e hanno sfondato in un altro. Vedi Michael Jordan che, prima di dedicarsi alla pallacanestro, ha giocato a baseball e a football americano. Se da loro il football americano o il baseball avesse avuto il monopolio, come da noi fa il calcio, forse non avremmo mai avuto His Airness.

Gli sport americani a livello sociale

Un motivo del successo degli sport americani è che permette ai giovani di salvarsi dalle cattive strade o di non incappare in esse. Se ne parla poco, credendo che sia solo una questione “teorica” (diciamo così) di investimenti, programmazione, infrastrutture. Insomma, i soliti discorsi da bar che sbucano fuori dopo ogni fallimento delle nazionali italiane. I plutomani del calcio vorrebbero creare una lega d’élite pensando di fare come nell’NBA, ma sbagliano completamente il paragone. L’NBA è un’élite, ma non gli sport americani, i quali cercano di formare i giovani e renderli sperabilmente campioni e maturi. Purtroppo, non è tutto rose e fiori (violenze, nonnismo, soldi sperperati ecc), ma è nella globalità che bisogna inquadrare il tutto. Molte grandi città americane sono abitate da persone povere, a forte rischio di criminalità. Le varie leghe americane danno l’opportunità di tirarsi fuori da questa criminalità o di scamparla. Ci guadagnano un potenziale campione da medaglia ma, anche se ciò non accadesse, questi giovani avranno un futuro migliore perché sapranno cavarsela con le doti umane e professionali. Magari saranno i futuri allenatori di un’altra generazione di “ragazzi di strada” e ciò continuerà ad alimentare il circolo virtuoso. 1 su 10 mila sarà il nuovo Lebron James, mentre agli altri rimarrà un insegnamento per la vita.

Chi diventa il nuovo LeBron James, inoltre, lo è non solo perché vuole, ma anche perché “deve”, magari per una borsa di studio. Ed è una forte motivazione rispetto ai nostri giovani che vengono viziati e non vogliono faticare. Gli sport americani comprendono un insieme di capacità economiche, didattiche, sociali e umane. Non è semplice vivere in questo sistema e, tante volte, accadono brutte cose. Ad esempio si imbroglia, ci si fa prendere dall’eccessiva competitività e si rischia la salute. Ma almeno si dà uno sbocco per far emergere i giovani da un futuro che, altrimenti, li vedrebbe prendere brutte strade. Ogni lega americana non va vista singolarmente, ma come un ingranaggio in un sistema più vasto e diversificato. O forse è meglio restare scarsi e mediocri come da noi?

È interessante notare come anche in Francia lo sport abbia scopi simili. Ne ho discusso in questo articolo. A giudicare dalle medaglie e dai titoli vinti dalla Francia nel calcio e nel basket, non mi pare affatto che il loro sistema sia sistema sbagliato.