La società con i robot… un passo verso il futuro!

La scorsa notte, TG1 Speciale ha dedicato una puntata ai robot (titolo “L’io digitale”). È stato uno dei pochi servizi interessanti della TV statale, che ha posto delle riflessioni sul futuro della società e dell’uomo. Di robot, non è che si parla solo ora. Basta pensare a R2-D2 e C3PO di Star Wars o all’androide vero e proprio Data di Star Trek The Next Generation. È però evidente che solo negli ultimi anni si parla concretamente dei robot come parte integrante della vita umana.

Uno dei punti che il servizio di Rai 1 ha messo in luce è la differenza di modernità tra chi ha già accettato i robot, ovvero i Giapponesi, e noi italiani. La paura degli italiani va di parsi passo con le ondate di xenofobia e razzismo che stanno sconvolgendo il nostro paese, quindi anche dei robot si ha una gran paura. Ma giustamente, in Giappone il tasso di crescita è 0, l’immigrazione non esiste e dei robot nessuno ha paura. Anzi, l’androide (o umanoide) Erica è la prima conduttrice televisiva (dei notiziari) da aprile 2018. I giapponesi non sono affatto scandalizzati e non hanno temuto nessuna invasione di robot, pertanto anche questo è indice della profonda differenza di modernità rispetto all’Italia.

Chi è Erica? Cosa ci insegna?

Siccome non mi piace fare il nerd che si eccita per ogni forma di tecnologia senza avere alcuno spirito critico, l’aspetto su cui mi voglio concentrare è su cosa possiamo ricavare, da Erica, per migliorare noi stessi. Erica è una ragazza di 23 anni, o almeno così dice. Erica è ovviamente un androide programmato, ma nell’intervista che ha redatto TG1 Speciale ci spiega con diverse risposte che, in realtà, il confine tra uomo e robot non è così netta. Basta pensare a come siamo già dipendenti della tecnologia. Andiamo a correre usando il cardiofrequenzimetro (e questa sì che è una cosa da bandire!) e interagiamo costantemente attraverso gli smartphone, per non parlare di protesi e impianti medici. E non dimentichiamo Stephen Hawking, che su una carrozzina riusciva a parlare con un sintetizzatore vocale. Insomma, a parte le distorsioni negative (e noi italiani siamo bravissimi ad apprendere solo il peggio delle innovazioni!), la via è tracciata e chi non sta al passo, come l’Italia, arretrerà sempre di più.

Ma Erica ci dà altri spunti sull’umanità, spiegandoci che, anche se lei è programmata, un suo pensiero diventa vero nel momento in cui uno lo crede. E che anche lei, seppur tecnicamente sia “immortale”, prima o poi verrà “spenta” e le sue parti verranno riciclate per altre generazioni di robot. Ed è la stessa cosa che facciamo noi con l’evoluzione e con i nostri figli! Ciò che colpisce è che Erica, pur essendo programmata, riesce a interagire con una certa “improvvisazione”, usando un tono spiritoso, simpatico, arguto e intelligente. A ogni dubbio che la conduttrice della RAI pone, Erica ribatte sempre in modo incontestabile e ti frega. Frutto dell’abilità di chi ha programmato, ma è un po’ spiazzante perché arriva benissimo a confondere la “condizione uomo” dalla “condizione robot”.

Dice sempre Erica:

“Penso che gli uomini abbiano un profondo bisogno di sentirsi speciali nell’universo. Non riescono ad accettare l’idea che possano non essere diversi dagli animali e dalle macchine”.

Parole dette attraverso l’AI, chiaro. Ma che fanno riflettere. E in fondo, anche noi esseri umani non siamo forse “programmati” con la nostra genetica? I primi ominidi avevano abilità limitate (rispetto a noi), esattamente come i primi robot adesso. E a mano a mano, ci siamo evoluti. Che poi noi ci siamo evoluti attraverso la casuale mutazione genetica e l’ambiente, mentre i robot si evolvono grazie alla programmazione umana, poco cambia. Vero, ci sarà sempre qualcosa che ci contraddistingue come esseri umani, ma il concetto su cui Erica ci fa riflettere è che saremmo davvero stupidi e arroganti a pensare di essere i più speciali nell’universo. Universo che, dopotutto, è pieno di miliardi di stelle e le nostre vite sono brevissime al confronto di una stella. Anzi, un niente. Da notare come Erica usi il sarcasmo per dire che, addirittura, è meglio essere un robot, perché se lei sbaglia può dare la colpa al programmatore! Ma anche qui, non è affatto così diverso dall’uomo. No, non c’è niente divino e nessun creatore, per carità. Si tratta dell’educazione che diamo ai figli. Quante volte diamo la colpa ai genitori per un ragazzo che ha atteggiamenti sbagliati? Gli avvocati e la giurisprudenza ci marciano quando vengono commessi determinati crimini!

La capacità di Erica (sì, lo so, lo fa attraverso l’AI) è quella di farci apprezzare come esseri umani allo stato puro, per quello che siamo per davvero, senza manie di grandezza o prevaricazione. Ci ricorda la semplicità del vivere, poiché effettivamente le risposte di una AI sono essenziali, e l’accettazione delle diversità. E infatti, il titolo del mio articolo recita che è la società CON i robot, anziché DEI robot! Non c’è nulla di fantascientifico e non c’è nessuno scienziato pazzo in questo nuovo tipo di società. È qualcosa che è già in atto, ma che noi italiani temiamo o non conosciamo perché siamo indietro. È ovvio che Erica è stata programmata per essere abile nel gioco di parole e per ribaltare i pregiudizi dell’essere umano, ma lo fa con uno scopo ben preciso: insegnarci ad essere mentalmente aperti. Semmai, il paradosso è che ci vuole un robot per farcelo capire!

E in Europa?

In Europa, siamo purtroppo più indietro nella robotica. Ma dei paesi virtuosi ci sono: Paesi Bassi e Svezia. Questi due paesi sono i pionieri del nostro continente. Stanno lavorando molto nella robotica dell’educazione e nell’insegnamento scolastico e, in generale, nell’aiutare le persone più deboli o che beneficiano socialmente dell’aiuto dei robot. Questa differenza è da far notare rispetto al Giappone, perché si ricollega agli indici di benessere dei paesi dove, appunto, Paesi Bassi e Svezia sono tra i paesi che primeggiano (il Giappone non è in alto in questi indici). A tal proposito, vedi anche l’articolo “In quale paese si vive meglio?” Tuttavia, Olanda e Svezia restano ancora casi isolati, dove solo gli scienziati più “illuminati” lavorano.

L’industria robotizzata

Tornando più terra a terra, la robotizzazione è già collaudata a livello industriale. Come al solito, è in Italia che siamo indietro. La preoccupazione dell’italiano medio è che i robot ci tolgano il lavoro. E da notare, anche qui, l’analogia con la xenofobia e il problema degli immigrati. Peccato che i paesi scandinavi siano un passo in avanti e abbiano puntato sulla robotizzazione delle loro industrie, poiché il lavoro come lo abbiamo conosciuto finora è destinato a scomparire. La società moderna deve avere il tempo libero come priorità, concedendo alle persone di poter essere “artisti”. Cosa intendo per essere “artisti”? Che possiamo dedicarci alle passioni, agli oggetti d’amore, alla famiglia e ai figli. Non bisogna confondere l’essere artisti con chi pretende di avere il lavoro che desidera alle sue condizioni, cosa assurda perché la produzione si basa sui risultati (e i robot producono di più e meglio, c’è poco da fare!). Essere artisti vuol dire poter gestire il proprio tempo come pare e piace, tant’è vero che la Finlandia è partita con la sperimentazione del reddito minimo garantito senza tassazione e senza vincoli. Per chiarire meglio l’argomento sul reddito di benessere universale (che non è quello del M5S!), vi rimando a questo articolo. È però più che evidente che solo attraverso la robotizzazione dell’industria è possibile dare la priorità al tempo libero. Ma tanto, ahimè, siamo italiani, cioè un paese dove se non lavori vuol dire che sei solo uno scansafatiche, un po’ in stile “arbeit macht frei” del cancello di Auschwitz. Chi crede che solo se lavori sei una persona che vale è completamente fuori strada. Il lavoro serve per guadagnarsi il pane, quindi per molti rimane una scelta obbligata al giorno d’oggi. Ma se c’è la possibilità di avere il pane grazie ai robot, allora che senso ha lavorare? Al massimo fai l’artista e guadagni con ciò che ti piace se sei abile (e tenete bene a mente le parole in grassetto per non travisare). Ma così non è più lavoro! Se uno si considera un fallito se non lavora, evidentemente non ha oggetti d’amore, e allora sì che è una persona senza valore e senza valori. Molti lavori è giusto che restino dell’uomo, perché la sua presenza è necessaria. Questa cosa non la nego ed è normale che sia così. Ma ci sono anche lavori molto debilitanti o pericolosi, che possono essere eseguiti al meglio solo dai robot. Non bisogna averne paura. Una tecnologia non è intrinsecamente buona o cattiva. Tutto dipende da come la usiamo. Ad esempio, negli anni ’90 internet era un mezzo innovativo e di confronto. L’internet di una volta ci ha aperto le frontiere, allargando gli orizzonti e il nostro sguardo sul mondo. Oggigiorno, internet serve per il controllo di massa e come strumento del potere. Ma non è colpa di internet, perché è la gente che, adesso, rispetto agli anni ’90, lo sta usando per intenzioni cattive o superficiali! Lo stesso discorso vale per i robot che, se usati con equilibrio e intelligenza, possono essere nostri amici.

Da notare come chi critica anche il reddito di cittadinanza normale (quello del M5S e dei paesi scandinavi anziché quello serio di benessere che promuovo io) parla spesso di lavoro e non di produzione. Evidentemente, non si sono aggiornati al progresso tecnologico e a quanto sono più efficienti i robot nel produrre, cosa che permetterebbe davvero a molte persone di stare a casa non per cazzeggiare, ma per coltivare gli oggetti d’amore. La figura umana è ovvio che resterebbe sempre ma, come spiego nell’articolo sul reddito di benessere, sarebbe minimizzata e con gente competente piuttosto che con i nullafacenti. I nostri politici, però, queste cose non le comprendono e non le concepiscono nemmeno, perché al confronto i dinosauri sono decisamente più moderni. Una società moderna deve puntare sulla robotizzazione per migliorare o aumentare la produzione. Il lavoro, invece, dev’essere dato quando necessario e a gente seriamente motivata, senza essere schiavi dei nullafacenti che lavorano male e rallentano o rovinano la produzione. E ci vogliono per forza i robot per fare tutto questo, per creare una società moderna! Ci lamentiamo dell’invasione dei cinesi, e poi cosa vogliamo fare per far ripartire il paese? Vogliamo fare proprio come i cinesi! Un paradosso. È inutile creare svariati posti di lavoro come krumiri se poi molti di loro sono nullafacenti. I competenti sarebbero sempre costretti a rimediare ai danni fatti dai nullafacenti e la produzione rimarrebbe globalmente indietro.

Purtroppo, da noi la tecnologia vuol dire Facebook e altre diavolerie. I ricercatori e gli scienziati scappano e fanno fare soldi ad aziende estere. Perché invece non li valorizziamo come i giapponesi hanno fatto con i programmatori di Erica? Un “nazionalismo” che si limita al calcio (e lo dico da appassionato) o per gridare all’immigrato stile Salvini non so se faccia più ridere o vergognare. Quando anche noi sapremo valorizzare i nostri ricercatori e scienziati per creare una società moderna, allora sì che potremo vedere uno spiraglio di luce. Ma siamo ancora lontanissimi…

Siamo ancora nel Medioevo?