L’universo non ha bisogno di Dio!

La percezione del divino da parte dell’uomo è antichissima. Già nella pittura rupestre, che si sviluppa per diversi millenni a partire dal 18000 a.C., troviamo raffigurazioni di metà uomini e metà umani, che verosimilmente erano stregoni. Quindi già così tanto tempo fa l’uomo intuiva che c’era “qualcosa”. Pian piano, attraverso scopiazzature, evoluzioni, e anche guerre, si sono sviluppate le religioni che oggigiorno praticano le persone. L’invenzione della religione da parte dell’uomo, se così si può definire, non deve stupire. Il punto di partenza è qui, cioè capire perché l’uomo ha creato Dio. L’uomo osservava il mondo con gli occhi e i mezzi di quelle epoche e si faceva le sue idee di come funzionava l’universo. Doveva cercare delle spiegazioni e, soprattutto, doveva spiegare la morte, un evento naturale ma che appariva inspiegabile e drammatico agli occhi di un’umanità in crescita ma anche fragile. La morte includeva le malattie, le aggressioni degli animali, gli avvelenamenti del cibo, le carestie, i cataclismi naturali e tutto questo doveva avere una spiegazione. Dio era la spiegazione che l’uomo ha saputo dare per secoli e per millenni.

Ora, sarebbe interessante ripercorrere le varie tappe del rapporto tra l’uomo e il divino, dei progressi o dei declini nel corso del tempo, delle scomuniche per aver teorizzato cose che i testi sacri deprecavano. Ma sarebbe da corso universitario e non è questo il contesto. Quello che mi interessa è arrivare al vero e proprio spartiacque, cioè ai primi scienziati che hanno iniziato a distaccarsi dalla classica religione. Sto parlano di menti come Isaac Newton, Niccolò Copernico, Galileo Galilei, ma anche Giordano Bruno, e non dimentichiamo Charles Darwin o William Herschel e il figlio John Herschel. Ok, con i nomi potrei dilungarmi parecchio. In sostanza, sono nomi rivoluzionari che a partire dal ‘500 circa, e arrivando fino al settecento, anche ottocento, hanno dato il via alla scienza moderna. O forse, per certi versi, alcuni di loro sono stati gli ultimi della “vecchia” scienza. Ad esempio Newton era inizialmente legato all’alchimia. Ciò non deve stupire. Erano pur sempre uomini dei loro tempi. Ci vuole tempo perché la scienza, a mano a mano, scopra sempre più cose e si stacchi da una qualunque forma di divinità. Ma finalmente ci siamo arrivati. Se oggi un fisico dice di credere in Dio e che scienza e fede possono andare d’accordo, di solito nella comunità scientifica non è visto di buon occhio dai colleghi. Perché?

Attenzione, come spiego alla fine dell’articolo, non voglio dimostrare che Dio non esiste, ma che l’universo può esistere anche senza un Dio.

L’origine dell’universo

Oltre alla paura della morte e al tentativo di esorcizzarla, alla base c’è sempre anche il desiderio di arrivare all’origine, di spiegare come tutto è nato. Secoli o millenni fa, non c’erano ancora le conoscenze attuali e veniva spontaneo attribuire l’universo a Dio. Oggigiorno no, non va più così. D’altronde in molti, seppur non credendo più nelle comuni religioni, in qualche modo affermano di credere che ci sia una qualche “forza motrice”. Alcuni si professano magari panteisti. Altri genericamente parlano di una “essenza universale”. Tutto questo era già più o meno tipico degli scienziati di secoli fa che iniziavano il progresso scientifico moderno. Oggi vale la pena andare fino in fondo e smettere assolutamente di credere in qualcosa di divino, in Dio, in “essenze universali” ecc. Il motivo nasce dal fatto che l’universo può benissimo essere nato dal nulla. Uno dei promotori di questa teoria è il fisico Lawrence Krauss che, attraverso una serie di dimostrazioni (che ho trovato negli archivi del sito della Cornell University qualche anno fa), effettivamente dimostra che l’universo può benissimo essersi generato così, dal nulla, senza in alcun modo smentire il principio di conservazione dell’energia.

C’è da dire che il vuoto quantistico, in fisica, non è realmente vuoto. Mi spiego. Se anche noi prendiamo un vuoto puramente ideale, con misura della pressione a zero, in realtà noi non abbiamo mai un vero e proprio vuoto. Sono sempre presenti delle coppie di particelle virtuali che si formano e annichiliscono a vicenda. Il vuoto quantistico è pertanto un vero e proprio “ribollire”, come dicono i fisici. Ciò però implica che anche un “vuoto ideale” ha sempre e comunque una energia e vengono sempre rispettati il principi di conservazione dell’energia, di impulso, di carica e momento angolare (*). Quindi è tutto perfettamente coerente alle leggi della fisica che conosciamo. La differenza sta nel fatto che “mentalmente” ci è difficile immaginare un vuoto del genere, cioè quantistico. Discutere di vuoto quantistico è utilissimo, perché fa ben capire come l’attribuzione dell’universo a Dio debba essere superata. In sostanza: perché devo pensare che mi è entrato un ladro in casa se nulla mi fa credere al passaggio di un ladro? Certo, qualcuno dirà che “ci deve essere qualcosa”, che “Dio si vede tutto intorno, io lo vedo”. Nulla di più errato. Quel “qualcosa” è solo l’incapacità attuale di spiegare un fenomeno. L’origine dell’universo non ci è nota, certo, ma il non avere risposta è il modo corretto di progredire. Se siete tra coloro che danno la scontata risposta di Dio a quello che non sanno spiegare, riflettete sul paradosso di Buechner che ho descritto in questo articolo. Piuttosto rimandiamo il giudizio, perché solo così possiamo compiere la vera ricerca, sperimentare e raggiungere la conoscenza. Ma non attribuiamo più nulla a Dio, perché l’attribuzione a Dio è semplicistica e incoerente. Chi ha vera sete di conoscenza non può, non oggigiorno, affidarsi a Dio per spiegare un fenomeno, compresa l’origine dell’universo. La scienza ha fatto dei progressi notevoli negli ultimi secoli, a partire dai Newton e dai Galileo. È difficile immaginare di partire da quelle epoche e ritrovarsi alla meccanica quantistica. Però siamo qui e non dobbiamo buttare via quello che abbiamo raggiunto. No, anzi, dobbiamo andare avanti e, anziché litigare sulla carne di maiale o sui crocefissi a scuola, imparare a guardare il mondo con l’occhio di un bambino non indottrinato che si meraviglia dell’universo così com’è, senza scomodare una qualunque divinità. Smettere di credere in Dio è un atto di modernità, che omaggia la curiosità dell’essere umano senza dare risposte banali o fantasiose.

* Detto in modalità easy, “nulla si crea, niente si distrugge”. L’universo può tranquillamente essere sempre esistito e il Big Bang è solo una sua fase!

C’è un drago nel mio garage

Ecco a voi una interessante storiellina che serve ad allenare lo spirito critico. La storiellina è nota tra gli atei. Se non la conoscete già, benissimo, leggetela e riflettete. Non date per scontato quello che vi dice la religione, ma imparate a usare la vostra testa e a vedere il mondo con razionalità. Ed essere razionali, voglio ricordare, non vuol dire affatto perdere la meraviglia!

«Nel mio garage c’è un drago che sputa fuoco». Supponiamo (sto seguendo un approccio di terapia di gruppo praticato dallo psicologo Richard Franklin) che io vi dica seriamente una cosa del genere. Senza dubbio voi vorreste verificarla, vedere il drago con i vostri occhi. Nel corso dei secoli ci sono state innumerevoli storie di draghi, ma nessuna vera prova. Che opportunità fantastica!

«Ce lo mostri», mi dite. Vi conduco nel mio garage. Voi guardate e vedete una scala, dei barattoli vuoti, un vecchio triciclo, ma nessun drago. «Dov’è il drago?» chiedete. «Ah, è proprio qui», vi rispondo, facendo dei cenni vaghi. «Dimenticavo di dirvi che è un drago invisibile». Voi proponete di spargere della farina sul pavimento del garage per renderne visibili le orme. «Buona idea», dico io, «ma questo è un drago che si libra in aria». Allora proponete di usare dei sensori infrarossi per scoprire il suo fuoco invisibile. «Idea eccellente, se non fosse che il fuoco invisibile è anche privo di calore». Voi proponete allora di dipingere il drago con della vernice spray per renderlo visibile.

«Purtroppo, però, è un drago incorporeo e la vernice non fa presa su di lui». E così via. A ogni prova fisica che voi proponete, io ribatto adducendo una speciale spiegazione del perché essa non funzionerà.

Ora, qual è la differenza fra un drago volante invisibile, incorporeo, che sputa un fuoco privo di calore e un drago inesistente? Che senso ha la mia asserzione dell’esistenza del drago se non esiste alcun modo per invalidarla, alcun esperimento concepibile per confutarla? Il fatto che non si possa dimostrare che la mia ipotesi è falsa non equivale certo a dimostrare che è vera. Le affermazioni che non possono essere sottoposte al test dell’esperienza, le asserzioni non «falsificabili», non hanno alcun valore di verità, per quanto possano ispirarci o stimolare il nostro senso del meraviglioso. Quello che io vi chiedo, dicendovi che nel mio garage c’è un drago, è in pratica di credermi sulla parola, in assenza di alcuna prova.

L’unica cosa che voi avete realmente appreso dalla mia affermazione che nel mio garage c’è un drago è che c’è qualcosa di strano nella mia testa. In assenza di alcuna prova fisica, voi vi chiederete che cosa mi abbia convinto. Penserete certamente alla possibilità che io abbia fatto un sogno o abbia avuto un’allucinazione. Ma allora, perché sto prendendo tanto sul serio la mia idea? Forse ho bisogno di aiuto. Come minimo, può darsi che io abbia gravemente sottovalutato la fallibilità umana.

Immaginiamo che, benché nessuno dei test dia esito positivo, voi vogliate rimanere scrupolosamente aperti a qualsiasi possibilità. Perciò non rifiutate decisamente la nozione che nel mio garage ci sia un drago che sputa fiamme, ma adottate semplicemente una posizione di attesa sospendendo il giudizio. Le prove esistenti sono fortemente contrarie all’ipotesi del drago, ma se ne emergeranno altre voi siete pronti a esaminarle e a vedere se vi convincono. Senza dubbio non sarebbe bello se io mi offendessi perché non mi credete; o se vi criticassi accusandovi di essere noiosi e privi di immaginazione, semplicemente per avere espresso il giudizio di «non dimostrato».

Immaginiamo che il responso dell’esperienza fosse stato diverso. Il drago è invisibile, va bene, ma lascia delle impronte sulla farina. Il rivelatore nell’infrarosso segnala che esso emana calore. La vernice spray permette di vedere una cresta dentellata che danza in aria. Per quanto scettici possiate essere stati in precedenza sull’esistenza dei draghi – per non parlare dei draghi invisibili – ora dovete riconoscere che qui c’è qualcosa e che ciò che si osserva sembra conciliarsi con un drago invisibile che sputa fuoco.

Consideriamo ora un altro scenario. Supponiamo che a sostenere la strana idea dell’esistenza dei draghi non ci sia solo io. Supponiamo che anche vari altri vostri conoscenti – tra cui persone che non si conoscono certamente fra loro – vi dicano di avere dei draghi nei loro garage, ma che in ogni caso le prove siano terribilmente elusive. Tutti noi ammettiamo che ci dà fastidio dover credere a una convinzione tanto strana e così mal sostenuta da prove fisiche. Nessuno di noi è pazzo. Noi ci chiediamo che senso avrebbe se in tutto il mondo dei draghi invisibili fossero effettivamente nascosti nei nostri garage, con tutti noi a crederci. Io penso che non sia così. Ma se tutti quei miti antichi dell’Europa e della Cina, dopo tutto, non fossero solo dei miti…

Meno male che adesso c’è chi dice di aver visto delle impronte nella farina. Quelle impronte, però, non si producono mai alla presenza di persone scettiche. Si presenta allora una spiegazione alternativa: a un attento esame appare chiaro che le orme potrebbero essere una contraffazione. Un altro entusiasta dei draghi si presenta con un dito bruciato e lo attribuisce a una rara manifestazione fisica del respiro infuocato del drago. Anche questa volta, però, ci sono altre possibilità. È chiaro che per scottarsi le dita non occorre esporle all’alito infuocato di un drago invisibile. Tali «prove» – per quanto importanti possano considerarle i fautori dei draghi – non sono affatto conclusive. Ancora una volta, l’unico approccio ragionevole consiste nel rifiutare provvisoriamente l’ipotesi dei draghi, nell’essere disponibili a valutare futuri dati fisici che dovessero presentarsi, e nel chiedersi per quale motivo un così gran numero di persone sobrie e sane di mente condividano la stessa strana illusione

Dio è un simulatore?

Lo scopo dell’articolo non è affermare l’inesistenza o l’esistenza di Dio. Dimostrare l’inesistenza di qualcosa non ha razionalmente alcun senso. D’altro canto, se Dio esiste, può tranquillamente essere un individuo che creato l’universo, ha inserito 2-3 leggi basilari e si è messo a vedere quello che sarebbe successo. Quali leggi? Ad esempio la casualità, una mutazione apparentemente insignificante ogni tanto. Gli informatici e coloro che sono abituati alle simulazioni sanno molto bene che, partendo da poche e basilari regole, si possono evolvere scenari di una complessità incredibile. Questa ipotesi (ovviamente non verificata e senza dimostrazione) spiegherebbe il paradosso di Buechner per cui accadono cose brutte. Tuttavia, confuta l’attribuzione di un Dio infinitamente buono e onnipotente. Quest’ultima ideazione di Dio è strettamente umana ed è l’umano stesso che ha scritto le religioni. Ma l’universo non è fatto solo dall’uomo e, anzi, l’uomo vive solo da un soffio di tempo nel mondo. È sbagliato avere una concezione antropocentrica della realtà in cui viviamo. Ci possono essere creature più o meno senzienti, ma ognuna fa parte del meccanismo della natura ed è fondamentale. Se è adatto sopravvive e, se non lo è in base all’attuale ambiente, si estingue. Tutto questo non nega l’esistenza di Dio, ma ne dà una ipotetica figura assai diversa da quella delle comuni religioni.