Guida sulla corretta assunzione di psicofarmaci

Dare indicazioni dettagliate sugli psicofarmaci è piuttosto complicato. Le tipologie di farmaci usati sono veramente tante. I farmaci sono tutti molto diversi. Gli stabilizzatori d’umore sono una cosa totalmente a sé rispetto agli ansiolitici, così come sono tutt’altra cosa gli antipsicotici e via dicendo. Ma la mia non è una tesi di medicina. Il mio intento di questo articolo è molto più modestamente quello di spiegare poche semplici regole su come gli psicofarmaci dovrebbero essere assunti. Purtroppo è anche molto comune che sia i pazienti sia i terapeuti non tengano ben presente queste direttive, quindi ritengo che sia utile che diate una lettura se dovete avere a che fare con terapie a base di psicofarmaci. È doveroso precisare che, comunque, non è detto che una patologia psichiatrica necessiti di una vera e propria terapia farmacologica. Il disturbo schizoide di personalità, ad esempio, può necessitare di un’assunzione farmacologia al bisogno, ma non come terapia farmacologica specifica.

Sono 3 i punti cardine da tenere a mente:

1) effetti collaterali;
2) rapporto tra vantaggi e svantaggi;
3) sviluppo della dipendenza.

Effetti collaterali – Gli effetti collaterali più citati sono l’eccesso di sonnolenza e l’aumento di peso. Spesso in realtà avviene che l’aumento di peso non è dovuto a un’interazione di causa-effetto dovuto al farmaco, bensì alla sonnolenza che il farmaco causa. Cioè, il farmaco di per sé non fa aumentare di peso, ma il farmaco provoca sonnolenza e, dormendo, si rimane meno attivi nel corso della giornata. E rimanendo meno attivi nella giornata, si aumenta di peso. Qualunque farmaco ha un qualche effetto sedativo. Chi dice di no dice una bugia, ma chiaramente ci sono farmaci che causano meno sonnolenza e farmaci che ne causano di più (a parità di dosaggio, si intende). Non esistono però soltanto questi effetti collaterali. Qualunque farmaco ha degli effetti epatici da monitorare attentamente. Esistono categorie di soggetti verso cui si deve prestare particolare attenzione, come chi soffre di diabete, di ulcera, di problemi cardiovascolari. Il Lorazepam (Tavor), ad esempio, può provocare ipotensione arteriosa e disturbi gastrointestinali. Ma non solo, può accentuare la depressione e smascherare tendenze suicide, motivo per cui non è il farmaco primario per questi disturbi. Diciamo che esistono farmaci che provocano davvero un aumento di peso o la sonnolenza, diminuendo il metabolismo basale, ma spesso si verificano altri effetti collaterali. Alcuni farmaci, come Depakin e Abilify, provocano la diarrea. L’Abilify provoca comportamenti “strani”, come l’incapacità di restare seduti o di evacuare, pancia molto gonfia. Non ci si può limitare alla mera preoccupazione per il peso, che può avvenire ma non è l’unico grave effetto collaterale. Ovviamente, se lo psichiatra è afflitto dal delirio di onnipotenza, minimizzerà tutto. Ed è molto comune. In riassunto, non pensate solo all’aumento di peso come effetto collaterale. Ci sono farmaci che portano davvero a comportarsi in modo “strano”, fanno perdere i capelli o venire la diarrea.

Vantaggi e svantaggi – Questo punto è in relazione con il primo. È pertanto ovvio che, se il problema di cui si soffre è lieve, si possa fare a meno di assumere farmaci. Spesso si ha il braccio lungo nell’uso dei farmaci per dei semplici stati ansiosi o periodi di cali di umore, o per lievi disturbi di sonno. Non ha senso assumere farmaci in questi casi. In questi casi, si deve invece fortificare la propria mente e risolvere il problema con un po’ di buona volontà e raziocinio, elementi che per chi soffre di veri e propri disturbi possono non bastare se, appunto, non si assumono farmaci. Anche qui, però, è un campo molto sensibile e soggettivo. Ad esempio uno schizofrenico può benissimo decidere di non prendere farmaci perché vivere nel proprio “mondo” è molto meglio piuttosto che vivere con tremori e dormendo per 18 ore al giorno (vedi la clorpromazina, con cui vengono trattati anche il disturbo bipolare o alcune forme di dipendenza da sostanze stupefacenti). È un esempio estremo, certo, ma neanche così impossibile! D’altronde uno dei più grandi matematici al mondo soffriva di schizofrenia (John Nash, su cui è basato il famoso film A Beautiful Mind).

Sviluppo della dipendenza – Lo sviluppo della dipendenza è molto più comune di quello che si crede, perché, se lo specialista non educa il paziente risolvendo i suoi eventuali dubbi, il rischio è che il paziente prenda la pillolina come panacea dei mali ogni volta in cui ha momenti di crisi. Il rischio di sviluppare dipendenza da psicofarmaci, o addirittura overdose, è nettamente maggiore in chi già soffre o ha sofferto di dipendenze. Vale per alcol e droga, ma anche gioco d’azzardo, sesso. Non a caso, molti farmaci prescritti dal Ser.D (servizio per le dipendenze) sono rigorosamente somministrati in ambulatorio. La dipendenza da farmaci è molto pericolosa e, purtroppo, sottovalutata. Una volta cessato il farmaco, anche gradualmente, si rischia di andare in astinenza, con sintomi paragonabili a quelli da astinenza da alcol o droghe. E allora uno cosa fa? Riprende i farmaci, perché gli danno sicurezza. Proprio come con l’alcol o la droga. Ma allora, per favore, che non si parli di guarigione. Prendere i farmaci a vita non può mai essere una guarigione. Se il caso è da psichiatria da manuale, come gli schizofrenici, va bene. I casi più gravi, giocoforza, necessiteranno di un qualche farmaco. Altrimenti si rischia di rimanere “incastrati” se si finisce nelle mani di persone incompetenti, trasformando problemi curabili senza farmaci in calvari.

Le mie indicazioni non vogliono di certo sostituire il ruolo di un medico, ci mancherebbe altro. I 3 punti descritti danno però un’idea di come riuscire a proseguire una buona terapia farmacologica. È importante che chi soffre di disturbi psichiatrici sia consapevole dei pro e dei contro, di quello che può aspettarsi, della reale efficacia della terapia e di come affrontare i controlli, i dosaggi, i problemi di qualunque genere.

Come si struttura la terapia farmacologica

Il ruolo degli psicofarmaci è stato di recente rivalutato. Vedi quello che è stato riportato sul Lancet Psychatry da Horowitz e Taylor e, in precedenza, da alcuni ricercatori giapponesi nel 2010. Un trattamento, a sorpresa, si scopre che dura poche settimane, non per anni o in eterno. Poi si deve abbassare la dose. Spesso, invece, si bombarda il soggetto per tutta la vita e lo si rende dipendente. La novità è che la riduzione dev’essere molto graduale e può durare diversi mesi. Perché si tratta di una novità? Perché il vero e proprio ciclo dura poche settimane, mentre il resto del periodo serve per cessare. E questo periodo va da mesi ad anni, appunto. Altrimenti si sviluppano gravi sintomi di astinenza. E alcuni sintomi di astinenza, come insonnia e attacchi d’ansia, possono durare da mesi ad anni. Notate come si voglia quasi paragonare gli psicofarmaci alle droghe, e sono dei ricercatori a farlo trasparire. In parte è davvero così.

Sì, avete capito bene. Insonnia e attacchi d’ansia non sono ricadute, ma i sintomi di astinenza di una scorretta cessazione del farmaco. Molti psichiatri vedono l’aggravarsi dell’ansia e concludono frettolosamente che è una ricaduta, aumentando il dosaggio. Può darsi che lo sia, ma non lo si può dire negando a prescindere l’astinenza. Infatti, frattanto che il farmaco viene cessato (in mesi o anni!), si deve puntare su una psicoterapia cognitivo-comportamentale. I recenti studi non negano l’importanza degli psicofarmaci, ma cambiano l’approccio con cui devono essere somministrati. Questi studi, va detto, non riguardano tutta la categoria degli psicofarmaci, ma solo quelli della categoria delle benzodiazepine e degli SSRI in generale. Tuttavia, questi psicofarmaci abbracciano una vasta applicazione in diversi tipi di disturbi. Ripeto affinché fosse chiaro. Il trattamento vero e proprio dura poche settimane, non mesi e non anni! Il periodo da mesi ad anni deve servire a cessare il farmaco, non a rendervi dipendenti! Assicuratevi che il vostro terapeuta abbia ben chiaro questo metodo e non vi bombardi o cessi di colpo in poche settimane. Il metodo comune è quello di iniziare a dare un farmaco, aumentare la dose e andare a regime per un periodo più o meno lungo. Dopodiché, si attua la cessazione con una riduzione della dose che dura alcune settimane. Gli studi, però, mostrano che questo metodo è errato. È errato perché sviluppa facilmente la dipendenza e si hanno i sintomi di astinenza. Il periodo “a regime”, in realtà, è quello che ha come scopo esattamente la cessazione! O almeno, ciò vale per i farmaci antidepressivi e ansiolitici, che in ogni caso vengono prescritti per vari tipi di disturbi.

L’errore non è prendere il farmaco, bensì darlo per un periodo di cura troppo lungo, cosa che provoca dipendenza. Un periodo che però, probabilmente, è anche più breve della psicoterapia, quindi ricadute e astinenza si possono confondere tra di loro. Ecco perché il reale beneficio degli psicofarmaci è sotto il dubbio. Spesso, i miglioramenti concreti si hanno più con la psicoterapia che con gli psicofarmaci. Per contro, una scorretta, superficiale oppure ottimistica terapia farmacologica peggiora i sintomi!

Non me ne vogliate sul delirio di onnipotenza dei medici. Non è frutto delle mie paranoie. Ci sono scienziati veri come Dario Bressanini che condividono il mio pensiero. D’accordo, da qui al dire che un disturbo bipolare non dev’essere curato ne passa. Ma state in guardia dagli psichiatri (e medici in generale) che somministrano farmaci con troppa facilità. La logica non lascia alito a dubbi. A meno che non siano situazioni estremamente gravi (schizofrenia, impulso continuo all’autolesione ecc), un farmaco che dev’essere preso per anni o per tutta la vita significa che non sta curando. Ad esempio, esistono farmaci per l’ipotiroidismo, ma il farmaco non guarisce tale patologia perché va preso continuamente (ed è palese che non prendere il farmaco sarebbe di gran lunga peggio).

Sport e psicofarmaci

Concludo con un’altra cosa. So che sarete scettici, ma lo sport è una parte fondamentale della terapia. Lo scetticismo non è colpa vostra, ma dei medici stessi che sono sedentari e non danno il giusto valore allo sport. Ho discusso meglio di questo in un altro articolo.

Per quanto riguarda l’assunzione degli psicofarmaci, uno psichiatra che sminuisce l’importanza dello sport nei disturbi mentali è un pessimo psichiatra. Esistono degli studi (come quello nell’articolo linkato) dove i pazienti soffrono di disturbi anche piuttosto gravi, come la schizofrenia. Lo sport non sarà la panacea di tutti i mali, ma gli psichiatri dicono la stessa cosa anche dei loro farmaci. E allora perché non fare sport per ridurre le dosi di farmaci? In più, lo sport non dà gli effetti collaterali di un Lorazepam o Abilify, che non sono di certo paragonabili a una tachipirina.

Il fatto è che esistono disturbi di diversa entità. Così come esistono disturbi in cui i farmaci possono fare qualcosa, ma non si può avere la certezza. Non se ne può avere perché, probabilmente, è la psicoterapia ad aver portato i miglioramenti. Infine, solo nei casi più gravi sono necessari gli psicofarmaci. Non consideratevi nel migliore dei casi perché detestate i farmaci, ma è anche vero che, se fate sport, i farmaci possono addirittura azzerarsi.

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