Sulla cucina tradizionale, tra dieta e storia

È un argomento su cui ho riflettuto parecchio negli ultimi tempi, ricordando un programma televisivo sulla cucina che vidi qualche anno fa per curiosità. Nel programma, si proponeva una ricetta tradizionale da 750 kcal e l’esperto di turno asseriva che andava bene in una dieta non dimagrante, ma normale. Ma cosa vuol dire una dieta normale? Se parliamo di un giovane 20enne, 750 kcal possono anche essere poche, magari se salta pure la colazione e quindi si fa la mega abbuffata a fine giornata. Per una donna sedentaria o un uomo di mezza età altrettanto sedentario, 750 kcal per un piatto del genere, per altro poco saziante e dalla porzione microbica, vuole dire il 50-60% del totale del fabbisogno calorico. Quindi per il resto della giornata ci si potrà concedere ben poco. L’esperto del programma, che mostrava un fisico tutt’altro che in forma, asseriva che la ricetta andava bene come piatto unico. Insomma, cercava di salvare capre e cavoli. Non poteva dire che si poteva mangiare in quel modo come nulla fosse, ma nemmeno poteva andare contro alle ideologie di slow food per cui, se non è tradizionale, è cattivo.

Il problema della densità calorica

Il problema delle ricette tradizionali è che la maggior parte di esse ha un elevato apporto calorico. È inutile cercare di riadattare questa verità e trovare scappatoie, perché tanto la verità è questa e rimane. Poche ricette tradizionali sono ipocaloriche e anche quando vengono usate le verdure si tende a friggere, ad abbondare con i grassi. Basta pensare alla parmigiana o alla pasta alla norma, dove le melanzane vengono fritte in litri di olio. E le melanzane assorbono l’olio come spugne per base…

Se uno mi desse una porzione microbica di risotto alla milanese, io direi: “Ehi, tutto qui? Ok, e adesso che altro si mangia seriamente?” Eppure una porzione di risotto alla milanese di appena 300 g arriva facilmente, soprattutto nei ristoranti, a 600-700 kcal. Per saziarmi con un risotto alla milanese, dovrei mangiarmi una porzione di almeno 600 g (ho un discreto appetito, sapete com’è…), assumendo però ben 1200 kcal, cioè il fabbisogno calorico intero di una donna di mezza età, sedentaria, magari non troppo alta. Ingenuamente, qualcuno può ribattere che è sufficiente abbinare un contorno di verdure per compensare il piatto calorico, ma non funziona a livello psicologico: porzione di verdure abbondante ma poco appetibile e piatto buono ma microbico! Il senso di frustrazione è evidente.

Abbassare la densità calorica

È inutile girarci intorno. Chi sostiene la cucina tradizionale dovrebbe farlo mostrando un corpo in salute e in forma, cosa che molto spesso non è! Mi viene in mente la classica scena del vecchietto al ristorante che ordina il piattone di amatriciana con il mezzo litro di vino. E questo è un discorso molto importante in una società che è sempre più sedentaria. Ma la soluzione c’è, e la trovate nell’articolo “Come creare ricette ipocaloriche (l’importanza delle verdure)“.

La cucina tradizionale esiste? Un po’ di storia!

Può sembrare una domanda stupida, ma non lo è. Vi siete mai chiesti cosa si intende davvero per cucina tradizionale? Siamo abituati alla “ricetta tradizionale depositata presso la camera di commercio”, alla “ricetta originale dell’accademia della cucina”. Tutte ricette ben codificate, con precisi procedimenti (che tante volte non hanno nemmeno senso, è come seguire acriticamente una dottrina religiosa). Ma queste ricette sono state codificate molto dopo le vere origini della ricetta. Ad esempio, la ricetta del ragù alla bolognese è stata codificata, ma pensate che una comune famiglia bolognese segua questa codificazione? Ma neanche per sogno! Ogni famiglia bolognese ha la SUA personale ricetta e, giustamente, ogni famiglia bolognese vi dirà che la SUA ricetta è quella originale. Certo, gli ingredienti base non cambiano (non ci mettono mica il cioccolato…), ma ci sarà chi vi dirà che ci vuole poco pomodoro, chi vi dirà che ci vogliono più cipolle, chi vi dirà che il latte è bandito e chi vi dirà che il latte è necessario. Insomma, ognuno si ritroverà a litigare su chi ha ragione e, ovviamente, tutti avranno ragione. Avete presente la celeberrima scena del ragù con Sofia Loren? La Loren si reca dal macellaio per preparare il ragù napoletano (sì, esistono anche quello napoletano e decine di altri ragù in tutta Italia!) e tutte le donne presenti nella scena descrivono un ragù diverso, arrivando tutte quante puntualmente a litigare! Fate conto che Afragola dista una decina di km da Napoli, ma nella scena chi fa il ragù come ad Afragola non fa il vero ragù…

Poi, volendo, possiamo divertirci a indagare sulle origini della carbonara, dai contorni enigmatici, misteriosi e di leggenda. Pare infatti che la ricetta derivi dalla storia dei soldati americani ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, i quali volevano mangiare qualcosa di simile alla loro cucina e i locali ristoratori si sono ingegnati a preparare la carbonara utilizzando le uova (tipico alimento della colazione americana) insieme agli spaghetti in vece dei noodles conosciuti in America. Per molti la carbonara è la carbonara, e se si fa diversamente è bestemmia. Il punto è che nemmeno della carbonara esiste una vera ricetta, cosa impossibile per definizione. Credo che invece abbia più senso parlare di prodotti del territorio. Basta pensare alla gricia, antenata dell’amatriciana. La gricia nasce su per le regioni dell’Appennino. La gricia deriva dall’usanza povera dei pastori dell’Appennino, tra l’Abruzzo, le Marche e il Lazio. Per sfamarsi, questi pastori mangiavano la pasta accompagnandola con quello che comunemente trovavano a disposizione: pancetta o guanciale, Pecorino, ricotta stagionata. Da notare che l’usanza della pasta con il formaggio come piatto povero e operaio era molto comune in Italia. Esistono diverse immagini di lavoratori napoletani dell’ottocento che testimoniano bene come la pasta venisse mangiata sopra della carta con le mani, e… non c’era il pomodoro! Si accompagnava con il formaggio, e il pomodoro non c’era perché non era di certo comodo mangiare l’odierna pummarola con le mani. Beh, comunque sia, passare dalla gricia all’amatriciana è stato facile e la città di Amatrice ne rivendica la paternità. Ma in realtà le origini sono molto più profonde e varie e una sola verità assoluta non c’è. A mio parere, tutto questo questo non è un difetto, perché prova che la nostra cucina ha una varietà unica che in pochi altri paesi al mondo possono vantare. Andare a Bologna e mangiare un tipo di tortellini, poi andare a Reggio-Emilia e sapere che loro fanno i cappelletti fa di quella provincia un piccolo gioiello. Dovremmo quindi essere amanti dei prodotti del nostro territorio, ma saper anche vedere cosa c’è fuori del proprio orticello senza faide e litigi, altrimenti si sfocia nell’ottusità, per non dire stupidità (vedi “Ridiamo dignità al kebab!“).

Cibo americano o tradizione?

Voglio fare una postilla su questo discorso. Spesso ci lamentiamo del cibo all’americana e dei fasti food, additandoli di essere causa di problemi di salute come sovrappeso e obesità. Purtroppo, ciò che dovrebbe essere un nostro vanto non viene realmente valorizzato. Rimaniamo a tirarcela, ma intanto che ce la tiriamo gli altri sperimentano e si aprono, imparano. È incredibile, ci lamentiamo del cibo all’americana ma poi è difficile trovare un ristorante da noi che serva cibo cucinato bene. Non a caso, di solito non vado al ristorante per questo motivo. Trovo i prezzi troppo alti rispetto alla scarsa qualità generale. Paradossalmente, accanto ai fast food, è molto più facile trovare il localino divino nelle città degli States. Oltre al fatto che negli States, fuori dalle città, si mangia molto diversamente dal classico immaginario del fast food! Chi ci è stato e ha voluto davvero conoscere lo sa bene. Insomma, siamo alle solite. L’Italia è un enorme lingotto d’oro, ma su cui abbiamo deciso di spargere letame noi stessi.

Ma la cucina tradizionale va bandita dalla dieta?

Torniamo al discorso dietetico. Qualcuno può credere che la cucina tradizionale, quella “dei tempi”, non abbia più senso. Beh, se è vero che è impossibile trovare le origini esatte di una ricetta tradizionale per come la conosciamo oggi, in realtà la cucina tradizionale non ha lasciato il tempo che trova, ma va inquadrata nella giusta dimensione. Non dimenticate quello che vi ho detto subito: il problema delle ricette tradizionali sta nell’elevata densità calorica, cosa che provoca scarsa sazietà perché le porzioni dovrebbero essere microbiche per non esagerare. E qui veniamo al punto. I pastori dell’Appennino che si mangiavano il frugale piatto con pasta, guanciale e ricotta stagionata o Pecorino (tra l’altro piatto piuttosto salato) lavoravano per campi e con il bestiame per tutto il giorno e si svegliavano alle prime luci per ritornare a lavorare. Insomma, spendevano tante calorie. Nella società moderna, in pochi consumano così tanto a causa di lavori generalmente sedentari e una vita quotidiana altrettanto sedentaria. Siamo tristemente diventati sedentari, rispetto ai nostri antenati. Qualcuno prova ancora a salvare la barca, ma non va oltre quei classici 20-30 minuti di passeggiata del tutto ininfluenti se non per un blando buon umore. La cucina tradizionale “classica” dovrebbe quindi essere inquadrata in uno stile di vita corretto, che comprende sport a medio-alta intensità. Solo così è possibile concedersi più normalmente un piatto di risotto alla milanese o di amatriciana o di lasagne. È quello che faccio anche io. Alterno piatti ipocalorici seguendo i dettami della Cucina Sì ai piatti della tradizione. Nel mio menù quotidiano, ruotano indifferentemente cacio e pepe, tortellini e spaghetti alle vongole accanto a pasta con zucchine, zuppa con funghi e cozze, crema di cavolfiore e formaggio Gorgonzola ecc. L’unica avvertenza è quella di usare quantità “umane” di grassi, cioè ad esempio 10 g di burro per una porzione di risotto alla milanese anziché le vagonate di chili di burro e formaggio per rimediare, magari, a una tostatura fatta male (che NON si fa con il soffritto, ma a secco, come spiega il grande Gualtiero Marchesi!). La donna di mezza età sedentaria, con un fabbisogno calorico di 1200 kcal con cui a fatica mantiene il peso, difficilmente potrà inserire i piatti tradizionali con una certa regolarità. Se facesse sport per 4 volte a settimana, alzerebbe l’introito calorico di 300 kcal al giorno, arrivando a una dieta di 1500 kcal. Questo permetterebbe una libertà maggiore e di potersi godere meglio le eccezioni del fine settimana mangiando tradizionale, senza temere di mettere su peso. Ma se ciò non avviene, è decisamente utopistico sperare di mantenere il peso mangiando tradizionale. È questo il concetto che si ha sempre paura di dire, e gli esperti che si vedono in televisione lo sanno benissimo ma non possono dirlo chiaramente, perché sanno che devono andare incontro all’idiosincrasia della maggior parte della gente per lo sport.

La dieta dello sportivo sulle orme dei nostri antenati